Giovedì 9 e venerdì 10 marzo è in scena al Teatro Vascello di Roma Il Dio di Roserio, di Giovanni Testori e con Fabrizio Gifuni, studio sul primo capitolo.
Una corsa allucinata. Una sfida fra l’astro nascente del ciclismo Dante Pessina e il suo gregario Sergio Consonni, si trasforma e si deforma, nell’esordio narrativo di Giovanni Testori del 1954, in un potente apologo morale contro la degradazione delle coscienze nell’Italia del secondo dopoguerra. Il gregario, diventato ‘scemo’ a causa di una caduta intenzionalmente causata dal ‘Dio di Roserio’, arranca nella memoria perduta nel tentativo di ritrovare la propria voce.‘Verbalizzare’ il grumo dell’esistenza, far sì che la carne si rifaccia ‘verbo’ per verificare le sue inesplicabili ragioni di violenza, di passione e di bestemmia; e ricadere poi, di nuovo, nel suo fango tenebroso e cieco.” Queste considerazioni di Testori a proposito del teatro esprimono meglio di qualunque preambolo a quale dirompente forza d’urto possa trascinarci, a volerla attivare, la sua lingua di scena. E in questo primo tormentato capitolo del suo romanzo d’esordio la parola torna a farsi nitidamente strumento di un arcaico Rito teatrale.
In più di vent’anni il lavoro di Fabrizio Gifuni ha dato vita a un originale percorso culturale e creativo. Una pratica di lavoro che ha scommesso sulla centralità del corpo come principale strumento d’azione. Una ricerca caratterizzata da un ostinato studio dei testi, dalla curiosità verso nuove forme di drammaturgia teatrale e da una dedizione nei confronti di una dimensione performativa totale. Due grandissimi esordi letterari italiani, il capolavoro esistenzialista del ‘900 francese, i racconti metafisici di due giganti della letteratura latino-americana. L’autore e il suo doppio è un breve compendio di alcuni dei suoi ultimi studi e spettacoli. Una riscrittura, attraverso il corpo, di testi letterari importanti o dimenticati pronti ad essere illuminati e condivisi secondo varie e inaspettate prospettive. «È ormai evidente che Fabrizio Gifuni è un talento anomalo, capace di offrire trascinanti prove di bravura soprattutto quando si impegna in certe imprese solitarie, nelle quali trae linfa dal confronto con ardui testi di matrice letteraria. Gifuni esalta lo stile di Testori con una mostruosa tecnica recitativa: sembra che lo sguardo del corridore sia fermo, e si muova il mondo attorno a lui». (Renato Palazzi )
Mi soffermerei innanzitutto sulla capacità di stare in scena dal punto di vista attoriale. Molto si è perso oggi di quel modo di fare teatro, serio, impegnato, fatto di studio e di duro lavoro sia mentale che fisico. Per Fabrizio Gifuni il corpo diventa un atto scenico vero e proprio trasformando continuamente la parola in una materia plastica deformata e deformante. Non è solo il testo, a dir poco eccezionale di Giovanni Testori a restare impresso allo spettatore ma, proprio il metodo dell’attore che diventa il testo stesso. Una simbiosi da lui sicuramente voluta, cercata. Si ritorna all’ utilizzo del microfono tanto caro alla sperimentazione anni ’70, oggi riprodotto non solo come amplificazione ma come sottoforma di mezzo espressivo, raggiungendo un elevato livello creativo di messinscena. Complimenti a Fabrizio Gifuni. Il prossimo appuntamento è sabato 11 e domenica 12 con “Un certo Julio”.