In scena, al Nuovo Teatro Sancarluccio di Napoli, Forse Una Farsa di Tato Russo, con Mario Brancaccio, Sergio Del Prete e Riccardo Citro, che ne firma anche la regia, presentato da TTR-Il Teatro di Tato Russo (repliche fino a domenica 6 febbraio).
Commissionato, alla sua prima assoluta, dal Festival di Ferento nei primi anni Settanta, Forse Una Farsa è un testo storico del primo Tato Russo, che racconta in maniera tragicamente scherzosa la storia di tre attori molto diversi tra loro alle prese con la crisi del teatro di prosa. Pur avendo idee contrastanti sulla visione del teatro, costituiscono una compagnia teatrale e mettono in scena la farsa Il Casino di Campagna di Kotzebue, ricorrendo a una comicità mirata al divertimento e che, attraverso screzi, scherzi, travestimenti, tensioni e dialoghi surreali, rivela un’immagine impoverita della società attuale.
«Quando Tato Russo ha deciso di affidarmi questo testo – ricorda Riccardo Citro – ero a dir poco entusiasta di poterlo mettere in scena in un periodo storico come questo. Man mano che lo leggevo, mi stupivo di quanto fosse un “meccanismo perfetto”. Attualissimo e adatto a tutti. Intrigante. Provocatorio. Esso mette a nudo con fare farsesco le dinamiche di tre attori di diverso genere che, per combattere la crisi del teatro di prosa, costituiscono con difficoltà una compagnia teatrale. L’autore mette in luce la diversità, mescolando la poesia con la farsa e anticipando il concetto della comicità di oggi che, spesso, viene proposta al grande pubblico con tormentoni e battute prive di contenuto, mirate ad una risata facile».
Il trio comico di grande esperienza Brancaccio-Del Prete-Citro funziona a meraviglia in questa farsa meta-teatrale, dove le battute e le situazioni grottesche della pièce vera e propria si intersecano con le baruffe private dei protagonisti, producendo un effetto di esilarante straniamento. Sul più bello di una commediola già di per sé divertente, infatti, lo spettacolo s’interrompe per lasciare spazio alle considerazioni discordanti sul teatro e sulla comicità dei tre attori coinvolti, che producono ulteriori effetti comici. Ma ciò che rende la pièce interessante non è la comicità fine a se stessa, come potrebbe apparire, ma le riflessioni sul significato del mezzo di intrattenimento e sull’utilità sociale di chi lo pratica. Il tutto svolto con intelligenza e autoironia, dove nemmeno le scene (firmate da Peppe Zarbo) e i costumi (di Federica Del Gaudio), volutamente raffazzonati e non organici, vengono risparmiati dalla furia comica dei tre. Davvero un ben congegnato e recitato divertissement.