Arriva, al Teatro San Ferdinando di Napoli, Hybris di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, spettacolo (mai) scritto da Antonio Rezza, con Antonio Rezza e con Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli, Cristina Maccioni; una produzione Rezza-Mastrella, La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Teatro di Sardegna in coproduzione con Spoleto, Festival dei Due Mondi (repliche fino a domenica 23 dicembre).
Dopo lunga gestazione, bloccata più volte dalla pandemia prima e da impegni come quello del Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia 2018 poi, dopo il debutto al Festival dei Due Mondi di Spoleto 2022, Hybris ha finalmente preso vita girando con successo nei teatri italiani. Hybris, in greco antico, voleva dire “tracotanza”, di cui spesso si macchiavano gli eroi tragici, nel volersi mettere in competizione con gli dèi, pagandone poi un alto prezzo. Così, questo spettacolo parla di “tracotanza” riferita “all’essere umano che ritiene di essere più di quello che è”.
Nell’ambiente firmato da Flavia Mastrella «questa volta – dichiara Antonio Rezza – c’è solo una vecchia porta di legno pesante che arriva dalla mia infanzia e il cui peso fa parte della poetica dello spettacolo, perché pesante è il momento storico che stiamo attraversando. La porta ha perso la stanza e il suo significato, apre sul nulla e chiude sul nulla. Aprire la porta sulle altrui incertezze, sull’ambiguità, sull’insicurezza dell’essere e la meschinità dello stare. Chiunque sta in un punto, detta legge in quel punto, e dove sta non si vede bene perché ci sono i piedi sopra. I rapporti finiscono perché nascono sotto i calcagni, senza rispetto. Piccoli dittatori che fanno della posizione la loro roccaforte. Ma poi barcollano con una porta davanti gestita da un carnefice inesatto che stabilisce dove gli altri vivono. Chi bussa sta dentro, chi bussa cerca disperatamente che qualcuno da fuori chieda “chi è?».
La porta, dunque, qui è vista analogamente a un muro. Non serve per aprirsi agli altri ma, al contrario, per separare chi sta dentro da tutto il resto che sta fuori. E così i rapporti umani si inquinano fino a desiderare e – in qualche caso – a provocare la morte dell’altro. Questa separazione avviene in ogni ambito di rapporti, dalla famiglia agli amici al lavoro. Non senza l’inconfondibile segno di anarchia che caratterizza da sempre il teatro di Mastrella e Rezza, questa volta, coniugando graffio e piacevolezza, poesia e rabbia, c’è anche indignazione, rifiuto: Hybris parla di “tracotanza” riferita “all’essere umano che ritiene di essere più di quello che è”. Così, la porta, che nello spazio scenico scarno ed essenziale di Flavia Mastrella diventa oggetto metaforico, prende vita, come fosse un personaggio vero e proprio, grazie alle grandi doti di attore/performer di Antonio Rezza, che declina la propria fisicità e la propria voce in modi diversi a seconda dei momenti dello spettacolo. Ciò che riesce a fare con i suoi mezzi e con la sua ironia è degno di essere visto più che raccontato. Perché narrare una storia o, per meglio dire, una serie di situazioni quotidiane e paradossali allo stesso tempo, riuscendo a tenere sempre attivo un coinvolgimento del pubblico, facendolo divertire e riflettere contemporaneamente, è la più grande dote di un bravo attore.