La prima nazionale del Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart è andata in scena al teatro San Carlo. Chi si aspettava il classico concerto di musica corale, è rimasto sorpreso. Partiamo dall’indirizzo che, a mio avviso, costruisce un’idea registica che ha voluto descrivere un inno alla vita e non un’adorazione della morte.
Con la regia di Romeo Castellucci, artista di punta del teatro contemporaneo, si è assistiti all’allestimento di un’opera spacchettata dai suoi cardini tradizionali. Sul palco del San Carlo ha avuto inizio un gioco di tragicità, di ombre, luci e colori: bellezza della vita, tragicità della morte.
Le azioni sceniche hanno avuto un impatto piacevolmente dilaniante, terra, aria, vita e morte si sono contaminate attraverso getti di colori sputati sui fondali bianchi, e gli stessi colori che hanno dominato la scena, hanno dettato il segno della vita a della morte. Si sono interfacciati colori tragici con colori vivi, un arcobaleno che ha avuto la forza di raccontare il concetto della vita dopo la morte, o, se si vuole, la morte e la vita che rinasce.
Un Requiem che ha invertito la tendenza trasformandosi in luce vitale. Oltre ai colori che hanno rappresentato la vita, c’è poi la terra, nera, sparsa sul palcoscenico simboleggiando la freddezza del fine vita, e il concime della germogliazione di una nuova.
In apertura ci sono una donna e un televisore acceso. Immaginiamo che sia sera e lei è pronta ad andare a letto. Si corica addormentandosi nel lungo sonno che la avvolge senza il risveglio. Il seguito è coreografato da un gioco di veli distesi sul suo corpo. È un Requiem a ritroso, inizia con la morte e prosegue verso la rinascita.
Il finale simboleggia la cacciata dall’Eden con costumi e azioni simboliche sul peccato degli uomini e sulla distruzione della terra. Quest’ultimo quadro è stato evidenziato da un’infinità di cose perdute che con intermittenza sono state proiettate sul fondale. L’ultimo quadro rappresenta una nuova vita: un neonato posto al centro del palco, tra le macerie del mondo, una speranza voluta, o, forse, auspicata.
L’intera opera è corredata da momenti danzanti che con ordinaria sincronia arricchiscono e includono le ombre dell’intera storia. Le straordinarie coreografie di Evelin Facchini, hanno evidenziato la ciclicità della vita.
Tra podio e voci, si è assistiti al top della musica sacra del settecento. Magistrale il direttore d’orchestra, Raphael Pichon, il coro dell’Ensamble Pymalion che ha condotto l’opera con perfezione corale. A supporto del recitato citiamo il soprano Giulia Semenzato, il mezzosoprano Sara Mingardo, il tenore Julian Prégardien, e il basso César Badaiult. Il balletto è stato diretto da Clotilde Vayer.
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