Al Teatro Nuovo di Napoli è di scena I Macbeth di Francesco Niccolini, molto liberamente ispirato a William Shakespeare e a stragi dei giorni nostri, con Enzo Vetrano, Raffaella d’Avella, Giovanni Moschella, Giulio Germano Cervi, per la regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi; una produzione Arca Azzurra in collaborazione con Cooperativa Le Tre Corde/Compagnia Vetrano-Randisi e Teatro Comunale di Imola Lo Stignani (repliche fino a domenica 24 marzo).
Come spiega il sottotitolo, non si tratta dell’ennesima riduzione da Shakespeare, anche se la presenza del re scozzese e consorte potrebbe far pensare a ciò. Le parole dei due protagonisti sono quelle, ma qui i due personaggi deflagrano, dando vita ad altri personaggi criminali dei nostri giorni. Essi sono piuttosto gli archetipi di efferati assassini che riempiono la nostra cronaca nera. La domanda che ci si pone è semplice quanto impossibile: cosa spinge persone comuni, in tutto simili a chiunque di noi, ad abbracciare il culto del sangue, della violenza e della sopraffazione fini a se stessi? “Questo è un lavoro sull’ossessione – spiega l’autore Niccolini – e su stragi che si spiegano solo per ossessione, ieri e oggi: un trono, un’eredità, dei compagni di scuola, dei vicini troppo rumorosi, preghiere a un altro dio. Poco cambia, il risultato è sempre lo stesso: un massacro. Questa è la cronaca di un uomo e di una donna qualunque, in grado di nutrire le proprie psicosi e trasformarle in una guerra insensata contro se stessi e le vittime disgraziate che finiscono sotto il loro tiro. Per cosa?” “Abbiamo avuto bisogno – continua Randisi – di percepire quelle ferite, quel sangue come qualcosa di vicinissimo a noi e alle persone a cui ci rivolgiamo. E allora le storie si sono moltiplicate, nei meandri dei fatti di cronaca nera che quotidianamente ci stordiscono. Abbiamo cercato, assieme agli attori che lavorano con noi a questo progetto, di costruire una drammaturgia che fosse lo specchio contemporaneo dell’abisso in cui navigano Macbeth e la Lady.”
Al levarsi del sipario, ci troviamo dinanzi a quattro celle di quello che potrebbe essere un manicomio criminale. Ogni cella è abitata da un personaggio che ripercorre nei minimi particolari la genesi e il compimento del proprio crimine. Gli atti sanguinosi sono, dunque, già avvenuti. Il che, drammaturgicamente, è più interessante, perché pone i personaggi dinanzi all’orrore commesso, in un esame di coscienza che risulta doloroso ed esaltante al tempo stesso. Come i Macbeth ripercorrono il loro regicidio, anche gli altri due disvelano le proprie nefandezze, con rimandi abbastanza espliciti ad efferati omicidi degli ultimi anni. Il tutto in un clima di tensione e di lucida follia che trasforma in mostri un uomo annoiato ed un ragazzo manipolato dalla sua Lady Macbeth. E nel momento dell’auto-processo che vede Macbeth attribuirsi la responsabilità dei suoi atti, ecco che Lady Macbeth riemerge per scagionarlo e per attribuirsi lei la grande impresa. Qui, i due prendono l’aspetto dei coniugi Ciausescu. Spettacolo spiazzante, frutto di un testo e una regia che arrivano dritti al punto, come un pugno nello stomaco. Energici e convincenti i quattro attori protagonisti.