
ph Andrea Macchia
In scena al Teatro Mercadante di Napoli Edipo Re di Sofocle nella traduzione di Fabrizio Sinisi con (in o.a.) Francesca Cutolo, Francesca Della Monica, Marco Foschi, Roberto Latini, Frédérique Loliée, Fabio Pasquini, per la regia di Andrea De Rosa; una co-produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura, Teatro Nazionale di Genova, Emilia Romagna Teatro ERT -Teatro Nazionale (repliche fino a domenica 16 febbraio).
Accolto con successo di critica e pubblico fin dal debutto al Teatro Astra di Torino a marzo del 2024, replicato al Teatro Grande del sito di Pompei nell’ambito della rassegna Pompeii Theatrum Mundi a luglio, giunge al Teatro Mercadante Edipo Re di Sofocle, considerato uno dei testi teatrali più belli di tutti i tempi, simbolo universale dell’eterno dissidio tra libertà e necessità, tra colpa e fato. Arrivato al potere grazie alla sua capacità di “far luce attraverso le parole”, abilità che gli aveva permesso di sconfiggere la Sfinge che tormentava la città di Tebe, Edipo è costretto, attraverso una convulsa indagine retrospettiva, a scoprire che il suo passato è una lunga sequenza di orrori e delitti – dall’uccisione del padre Re Laio al concepimento di dieci figli con la madre Giocasta – fino a riconoscere la drammatica verità delle ultime, desolate parole del Coro: “Non dite mai di un uomo che è felice, finché non sia arrivato il suo ultimo giorno”. Un’indagine implacabile che porterà Edipo ad interrogare il cieco oracolo di Apollo, Tiresia, ed infine ad accecare se stesso, poiché il “conoscere se stessi” apre a tanta luce da restare avvolti per sempre nelle tenebre. «È difficile guardare la verità dritto negli occhi, – dice, infatti, De Rosa – è difficile e anche pericoloso. Aletheia (la verità in greco) indica l’atto di “togliere il velo da qualcosa per scoprirla”. Ma quel velo che ci impedisce di vedere chiaramente è anche ciò che ci protegge».
Da sempre attratto dall’assolutezza dei miti tragici, sia nel teatro di prosa che in quello lirico, Andrea De Rosa – dopo le Baccanti di Euripide e la Fedra di Seneca – si confronta ora col mito dei miti, la tragedia più enigmatica della storia (e anche la più emblematica, portatrice della pagana convinzione che le colpe dei padri ricadano sui figli), quel mito che tanto avrebbe fatto parlare di sé in chiave psicoanalitica per tutto il Novecento. E lo fa rinunciando a qualsiasi elemento scenografico classicheggiante, a sottolinearne l’universalità, collocando l’azione in un luogo fuori dallo spazio e dal tempo, un luogo dell’animo. Infatti, le scene di Daniele Spanò e i costumi di Graziella Pepe indicano una sorta di arena, dove i sei personaggi parlano con voci distorte dai microfoni, dietro altrettanti schermi di vetro trasparente, sporcato da linee biancastre, che rimandano al velo opaco di false credenze e di menzogne di cui sopra, attraverso il quale guardiamo la realtà.
Al centro della scena si muove – con gesti misurati – un inquieto Edipo, il convincentissimo Marco Foschi, dapprima spavaldo e risoluto, poi, man mano che i contorni del suo passato riemergono con maggior nitore – sempre più vacillante nelle sue convinzioni, per arrivare all’agnizione finale al culmine della prostrazione. Lo ieratico ma pietoso Tiresia del grande Roberto Latini lo conduce passo dopo passo alla scoperta dell’abisso nel quale è finito. Ottime anche le prove di Frédérique Loliée – attrice francese che calca i palcoscenici di entrambi i Paesi – qui alle prese con una Giocasta di volta in volta rassicurante e preda di un delirio amoroso contro natura, di Fabio Pasquini che interpreta un insolito Creonte saggio e dal volto umano ma non privo di piglio nel difendersi da accuse calunniose, e di Francesca Cutolo e Francesca Della Monica che, con le loro lamentazioni funebri, i loro commenti e i loro acuti soffocati fanno le veci del coro, vero motore della storia.