Al Teatro Mercadante di Napoli è di scena Processo Galileo, uno spettacolo scritto da Angela Dematté, Fabrizio Sinisi e Simona Gonella, con Luca Lazzareschi (nel ruolo di Galileo Galilei), Milvia Marigliano (in quelli dell’Inquisitore e Madre di Angela), accompagnati dai più giovani Catherine Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi, Isacco Venturini, per la regia di Andrea De Rosa e Carmelo Rifici; una produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, LAC – Lugano Arte e Cultura, ERT – Emilia Romagna Teatro (repliche fino a domenica 11 febbraio).
Processo Galileo nasce dal bisogno dei due registi, De Rosa e Rifici, di indagare il rapporto tra scienza e potere oggi, sollecitati dall’impatto profondo che la pandemia ha avuto sulla nostra società e socialità, partendo dallo storico processo a Galileo Galilei del 1633, cui seguì la sua abiura. Esso si compone di tre parti (per la durata totale di un’ora e mezza): un prologo, ambientato nel passato storico in cui avviene l’abiura, con le parole del processo a Galileo del 1633, i suoi personaggi e il suo linguaggio che fungono da punto di partenza e di irradiazione dei diversi temi in gioco (il rapporto tra la scienza e il potere, la tradizione, la coscienza). La seconda parte si svolge nel presente, nel quale una giovane donna, madre e intellettuale, è chiamata a raccontare per una rivista divulgativa il nuovo paradigma che la scienza sta ponendo oggi. Ma i dialoghi che intrattiene con uno scienziato e con sua madre, la costringono a mettere in discussione la sua visione del mondo. Nella terza parte si immagina un futuro nel quale ogni realismo si sgretola e i personaggi diventano le voci di un’invettiva contro un Galileo, visto come il portavoce di un processo storico e culturale che ha congiunto in maniera indissolubile la ricerca scientifica alla capacità tecnica (si pensi al primo cannocchiale della storia da lui costruito), saldando per sempre l’idea di progresso di una società alla potenza dei suoi dispositivi tecnologici.
Lo spettacolo si presenta come una sfida (a quanto pare vinta) dei registi De Rosa e Rifici, che si confrontano con un testo non semplice da mettere in scena, dal momento che l’azione è quasi del tutto assente e i dialoghi sono per lo più enunciazioni di carattere etico-scientifico. Il tutto immerso in uno spazio vuoto, con pochi elementi scenici, che non offrono grande appiglio agli interpreti. Eppure, una volta entrati nel gioco, nel loro mondo, ci si rende conto di quanto la parola sia un mezzo espressivo potente, con una carica altrettanto eversiva della scienza che descrive. I momenti dello spettacolo si dipanano in maniera non lineare, spesso si sovrappongono, perché è solo la nostra fallace percezione del tempo che ci fa distinguere tra un prima e un dopo. Di spunti per la riflessione il testo è pieno: dal cannocchiale di Galileo si finisce ai moderni dispositivi di comunicazione, che tanti interrogativi di carattere etico pongono ai nostri giorni, passando per la teoria quantistica e lo sviluppo degli ordigni atomici. Ci si rende conto che il “processo” del titolo non rimanda solo a quello storico a Galileo, ma si riferisce anche ad un lungo periodo di trasformazione della scienza e delle tecnologie che dal Seicento giunge ai nostri giorni. La domanda essenziale è: fin dove è lecito spingere la conoscenza e se sia giusto che ad una conoscenza teorica si debba necessariamente accompagnare un’applicazione pratica. Come un giovane militante politico, che alla scienza moderna rivolge l’accusa di aver dato vita a un apparato tecnologico sempre più potente e oppressivo, con cui l’Occidente ha finito con l’identificarsi. Ottima prova per Luca Lazzareschi e Milvia Marigliano e per i loro giovani coprotagonisti. Pubblico entusiasta.