Ed anche il Teatro Bellini riparte con il Piano B, ai tempi del Coronavirus e lo fa con uno spettacolo collaudato nella precedente stagione,acclamato da pubblico e critica, diventato un cavallo di battaglia dei fratelli Russo: Le cinque rose di Jennifer di Annibale Ruccello. Il grande commediografo stabiese, prematuramente scomparso, lo portò in scena negli anni ’80 ed è un testo potente, banco di prova per ogni attore che si reputi tale perché va recitato al di là delle tecniche di mestiere mettendoci sofferenza e dolore, anima e sangue.
Jennifer è un travestito che abita in un nuovo quartiere popolare di una Napoli ferita e abbandonata a se stessa, quasi un ghetto anonimo fatto di sogni e speranze, illusioni e ansie.
Jennifer attende invano, da più di tre mesi, la telefonata di Franco, il suo uomo. Jennifer telefona ogni giorno ad una radio privata dedicandogli Se perdo te…
L’appartamentino dove abita, dominato da un disordine caotico fatto di oggetti di pessimo gusto quasi tutti di colore rosso vivo, è il suo rifugio ma anche la sua prigione.
Jennifer è tremendamente sola con il suo doppio onnipresente che ripete le sue parole , i suoi gesti e persino i cambi d’abito. Si tratta di Anna, un altro travestito che la porta ancora di più sull’orlo della disperazione parlandole della sua gatta Rosinella, del suo essere testimone di Geova, della sua stessa solitudine concentrata come quella di Jennifer nel simbolo di una cornice vuota per la mancanza della foto di Franco.
Il telefono continua a squillare in continuazione tra una radio sempre accesa che trasmette canzoni di Mina, Patty Pravo, Ornella Vanoni, Milva, Romina Power, la paura di un maniaco che ha ucciso molti travestiti nel quartiere e le cinque rose luccicanti che troneggiano sulla tavola coperta da uno degli abiti preferiti da Jennifer: un’ampia vestaglia con volants da diva del cinema.
Jennifer si trucca guardandosi in uno specchio che non le rimanda la sua immagine. Jennifer calza scarpe con tacchi vertiginosi. Jennifer indossa parrucche dai colori accesi. Piange e si dispera, consapevole forse che il suo Franco è frutto della sua immaginazione. Anna l’accusa di aver ucciso la gatta Rosinella. Si spengono le luci. Nessuna speranza alla solitudine. Un solo sparo.
Gabriele Russo nelle note di regia dice: «Jennifer smette di essere personaggio di un testo teatrale per farsi carne ed ossa,sangue e sentimenti. Una persona viva, sempre esistita. Qualcosa che ti appartiene,che è dentro di te,nei tuoi sentimenti,nella tua cultura,nei tuoi suoni,nel tuo immaginario. Qualcosa di ancestrale, di antico e moderno, che risuona tutti i giorni dentro di noi,su un palcoscenico,nei vicoli della città e nelle pagine di un libro. Jennifer è il diavolo e l’acqua santa. Eterna contraddizione . Paradigma dell’ambiguità napoletana». E noi spettatori abbiamo incontrato Jennifer con il suo rossetto sbavato, i suoi lustrini, le sue cinque rose fresche e appassite, i suoi lamenti , le sue bestemmie e le sue preghiere . E con lei Anna, il suo alter ego vivo e immaginato e il suo Franco con tutto con l’ingombro della sua presenza-assenza.
Spesso abbiamo rimandato questo incontro perché Jennifer ci inchioda a riflettere sulla nostra solitudine senza via di scampo e sulle nostre fragilità ribadendo ancora una volta che tutti gli esseri umani hanno un bisogno disperato di Amore.
Abbiamo relegato Jennifer in un’atmosfera sospesa e onirica come quella colta dai fratelli Russo. L’abbiamo resa invisibile tra gli invisibili che tolleriamo a stento perché non conformi al nostro concetto di normalità ma con i quali dobbiamo fare i conti per comprendere meglio noi stessi.
Grande prova attoriale di Daniele Russo e Sergio Del Prete. Bellissimi i costumi di Chiara Aversano, funzionali le luci di Salvatore Palladino che trasformano ambiente e oggetti in incubi, ottime le scene di Lucia Imperato.
Si replica venerdì 23 ottobre alle ore 19.30,sabato 24 ottobre alle ore 17.30 e domenica 25 ottobre con due spettacoli alle ore 11.30 e alle 18.00.