Al Teatro Bellini di Napoli è in scena Una Casa Di Bambola di Henrik Ibsen, con Filippo Timi e Marina Rocco, su traduzione, adattamento e regia di Andrée Ruth Shammah; una co-produzione Teatro Franco Parenti Milano e Fondazione Teatro della Toscana (repliche fino a domenica 26 Febbraio).
Scritto nel 1879 durante un soggiorno ad Amalfi di Ibsen, Una Casa Di Bambola (con l’articolo, come nell’originale svedese) è un testo che sconvolse il pubblico borghese dell’epoca, perché per la prima volta si vedeva sulle scene una donna che si sottraeva alla potestà del marito. Per lo stesso motivo il dramma rappresentò il manifesto dell’allora nascente movimento femminista in nord Europa e oggi continua ad essere uno dei testi ottocenteschi più rappresentati al mondo (Cina compresa). Nora, moglie dello stimato dottor Torvald falsifica, all’insaputa del marito, una firma per ottenere un prestito necessario per intraprendere un viaggio curativo per lui in Italia. Il perfido Krogstad scopre l’imbroglio e la ricatta, per cui Torvald, messo al corrente dell’accaduto, la ripudia. Quando tutto si risolve e Torvald è pronto a riaccogliere Nora, lei avrà una reazione inaspettata… “Se si analizza il testo senza pregiudizi – spiega la Shammah – e non si dà per scontato che Nora dica la verità quando afferma di essere stata trattata sempre come una bambola, prima dal padre e poi dal marito, ci si accorge che è proprio lei a tenere i fili della storia e a manipolare il marito Torvald, costringendolo ad interpretare ruoli diversi”.
Una lettura, questa della Shammah, alquanto originale e – per certi versi – opinabile (difficile immaginare una donna manipolatrice a quell’epoca, in quella società). In ogni caso, si dà atto di aver perseguito puntualmente questa visione delle cose facendo interpretare al bravissimo e poliedrico Filippo Timi tutti i ruoli maschili. Tuttavia, proprio questa centralità attoriale rischia di mettere in secondo piano la pur brava Marina Rocco che – almeno sulla carta – dovrebbe essere protagonista assoluta della pièce. Così, pur risultando lo spettacolo assolutamente godibile, ironico, a tratti anche divertente, sorge il dubbio che non sia stata fatta una pura operazione di esaltazione istrionica dell’Attore. In piena sintonia col disegno registico le scene trasparenti di Gian Maurizio Fercioni, illuminate da Gigi Saccomandi, e i costumi d’epoca di Fabio Zanbernardi in collaborazione con Lawrence Steele. D’atmosfera le musiche di Michele Tadini.