Il Teatro San Ferdinando di Napoli termina la Stagione ‘23/’24 con Cinemamuto di Roberto Scarpetti, con Iaia Forte e Andrea Renzi, per la regia di Gianfranco Pannone; una produzione Teatro di Napoli-Teatro Nazionale (repliche fino a dom. 19 maggio).
In Cinema Muto, l’autore, Roberto Scarpetti, ripercorre la vicenda umana e artistica di Elvira Notari, prima regista cinematografica italiana, campana, di Cava de’ Tirreni, che fonda – insieme al marito Nicola – una casa di produzione: la Dora Film. Sotto il regime fascista, Elvira scopre l’amarezza della censura cui vengono sottoposte le sue opere: si comincia con la traduzione in lingua delle didascalie in napoletano e si arriva ai tagli di intere scene e al cambio dei titoli, ritenuti non in linea con i principi promulgati dal partito. Attraverso i colloqui con il sottosegretario del ministero, Leone, Notari giunge a percepire anche quanto risulti inappropriata la sua stessa professione di autrice e regista, in quanto donna, che poco si confà con l’immagine della donna protettrice del focolare domestico. Elvira, sdegnata, discute con Leone, ogni volta che è costretta a modificare le proprie pellicole, su quanto sta accadendo intorno a loro. Il funzionario si dice essere esecutore di direttive, stabilite in vista di un futuro migliore. Nel profondo anche il sottosegretario non è libero di esprimersi.
«Negli anni dieci e venti del Novecento – spiega Gianfranco Pannone – Napoli è tra le città del cinema con una più cospicua produzione di film e la conseguente presenza di diversi teatri di posa. Tra le figure del panorama cinematografico partenopeo una spicca su tutte Elvira Notari, produttrice insieme al marito Nicola per la Dora Film, attrice, sceneggiatrice e soprattutto regista, la prima donna in Italia, autrice di melodrammi, e anche documentari, dall’impatto fortemente visivo. I film che dirige, spesso ambientati nei bassifondi del “ventre di Napoli”, non piacciono al regime dittatoriale, specialmente perché all’estero, tra gli emigranti meridionali d’oltreoceano, godono di gran successo. Insomma, nell’Italia che si dice nuova i panni sporchi si lavano in casa».
Il testo di Roberto Scarpetti ha il pregio di riportare alla luce una figura importante del panorama culturale partenopeo d’inizio secolo. Nella realtà storica, infatti, Elvira Notari, stanca di combattere con l’ottusità di una censura che pretendeva – a volte – che cambiasse addirittura sceneggiatura e rigirasse intere scene (“Il fratricidio non si può mostrare, perché gli Italiani non si ammazzano fra di loro; meglio sostituirlo con l’uccisione della fedifraga, che non è reato perché delitto d’onore”…) a costo di gravi perdite economiche, si ritirerà nella casa natale di Cava, già abbandonata dalla madre perché in disaccordo con il credo fascista del resto della famiglia, dove morirà nel 1946, condannata ad un oblio che dura ancora oggi. La regia di Gianfranco Pannone traduce in azione i dialoghi serrati tra la protagonista e il suo censore, che alternano momenti di confidenze personali a una disamina più generale sul rapporto tra Potere e Arte. Iaia Forte esprime magnificamente il ritratto di una donna fermamente volitiva, anche se non priva di fragilità, e a suo modo dotata di un candore proprio degli artisti puri. Andrea Renzi dona profondità al suo Leone che, se all’inizio, appare freddo esecutore di direttive altrui, osteggiatore travestito da bonario confidente, a mano a mano che si sviluppa la vicenda, si rivela persona sola e vittima egli stesso dei soprusi del regime, ai quali però non ha avuto la stessa forza di Elvira di opporsi. Le scene di Luigi Ferrigno e Sara Palmieri, che disegnano uno spazio asettico del Minculpop, dove vengono proiettati spezzoni originali dei film in questione (forniti dal Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale) e gli eleganti costumi d’epoca di Grazia Colombini donano allo spettacolo fascino e grazia. Spettacolo che – siamo sicuri – con il passare delle repliche migliorerà il ritmo, non sempre sostenuto come il testo vorrebbe. A parte questo, uno spettacolo da vedere per meglio comprendere i tempi difficili in cui viviamo e dove può portarci un potere sempre più pervasivo, che rivendica persino un suo primato culturale, quando di culturale non ha nulla.