In scena al Teatro Quirino di Roma, fino a domenica 7 Dicembre, Il Visitatore di Eric-Emmanuel Schmitt, con Alessandro Haber e Alessio Boni, per la regia di Valerio Binasco che ne ha curato anche la traduzione dal francese, prodotto dalla Goldenart Production.
Eric-Emmanuel Schmitt è drammaturgo e professore di filosofia belga, classe 1960, conosciuto in Italia per alcune pièce di successo come Piccoli Crimini Coniugali, Variazioni Enigmatiche e Monsieur Ibrahim e i Fiori Del Corano, da cui è stato tratto l’omonimo film. Ne Il Visitatore ci troviamo a Vienna nel 1938, all’indomani dell’annessione dell’Austria al Terzo Reich. In Berggstrasse 19 abitano un vecchio ebreo e sua figlia: Sigmund e Anne Freud, la quale viene portata via dalla Gestapo per essersi ribellata alle prepotenze naziste. Ma durante le ore di angosciosa attesa del suo ritorno, il celebre psicanalista si imbatte in un misterioso personaggio che si intrufola in casa sua e che appare intenzionato a scardinare le sue idee ateiste. Si tratta di un pazzo sfuggito ai Nazisti o di Dio in persona? Nel tentativo di appurare la verità, i due daranno luogo a un duello verbale senza esclusione di colpi, in cui i due punti di vista appaiono altrettanto validi e condivisibili. Su tutto aleggia la domanda: “Se Dio esiste, come può permettere questa follia?”. O meglio, dall’altro punto di vista: “Colpa di Dio o della follia dell’uomo?”. Sebbene il testo si presenti in alcuni punti un po’ prolisso, non mancano in questo dramma momenti divertenti e di tensione drammaturgica. Il tema, quanto mai spinoso, viene svolto con grande onestà intellettuale tanto da non fornire risposte, ma da proporre allo spettatore nuovi spunti di riflessione sulla fede, l’ateismo, il posto che occupa l’uomo dal Novecento ad oggi. Il che lo rende interessante, oltre che godibile.
La regia di Valerio Binasco tende giustamente ad alleggerire i momenti in cui i dialoghi diventano più impegnativi, lasciando “giocare” gli attori, in un quadro che diventa visibilmente meta-teatrale grazie anche alle belle scene “spezzate” di Carlo De Marino. Così che il dentro e il fuori scena si sovrappongono continuamente, come l’inconscio e il pensiero razionale. Alessandro Haber è superlativo nei panni di un Freud vecchio e stanco, dubbioso, pronto a mettere in discussione il lavoro e le certezze di una vita, offrendo una caratterizzazione che resta nella memoria. Alessio Boni sa tenergli testa, meglio nei momenti più intimistici che in quelli di esuberante esaltazione. Completano il cast Nicoletta Robello Bracciforti, l’accorata figlia Anne, e il bravo Alessandro Tedeschi, l’odiosamente stupido agente della Gestapo. Accurati i costumi di Sandra Cardini; belle le musiche d’atmosfera di Arturo Annecchino.
Da vedere.