Ma quanto spacca questo nuovo disco dei maceratesi AEDI? Il loro album d’esordio – che arrivava dopo due EP introduttivi – ci era piaciuto molto, è vero, ma nulla che avrebbe potuto prepararci a questa bomba di disco. Prodotto con mano sicura da Alexander Hacke degli Einsturzende Neubauten, Ha Ta Ka Pa è un lavoro che a primo ascolto ti fa sobbalzare sulla sedia, dal secondo in poi inizia a mostrarti di che tipo di gemme è costituito, dal terzo, semplicemente, non riesci più a toglierlo dal lettore. Gli Aedi sono un quintetto costituito da Celeste Carboni (voce, piano, clarinetto, farfisa), Paolo Ticà (chitarra, synth, violino), Jones Piu (basso), Claudio Innamorati (chitarra) e Daniele Gatto (batteria). Nelle loro canzoni s’incontrano in maniera personale e con una certa dose di sperimentalismo, indie-rock, pop, new wave, folk, un pizzico di prog, hard e psichedelia. Nessuno di questi elementi ha mai però il sopravvento, e definire univocamente il loro sound diventa così faccenda piacevolmente più complicata. Animale, il pezzo che apre l’album, attacca con un riff che par preso da un disco dei Black Mountain, ma sullo sfondo s’intravede un cacofonico rollio strumentale, con al centro il pianoforte, tale da spostarla su lidi un po’ più trasversali, mentre sul tutto svetta la voce di Celeste, valore aggiunto di tutte le nove tracce in scaletta. Sentite, in tal senso, come s’inerpica, sul modello di una Elizabeth Frazer (Cocteau Twins), in Idea, mentre il resto della band dà vita ad un tribalismo ritmico, sostenuto da guizzanti chitarre. Rabbit On The Road è una filastrocca metallica persa tra urla e riff fumiganti, la stupenda Föhn è un potente e propulsivo indie-rock a là Arcade Fire, con un intermezzo pianistico in odor di minuetto ed una coda dronata e satura d’elettricità, Nero un inquietante pezzo ossessivo, con la voce sussurrante su lamine di tastiera e chitarre liriche. La prima cosa simile ad una ballata è Tomasz, pianistica e dalla melodia filiforme, sia pur a un tratto accesa da uno scoppio elettrico. Prepara agli ultimi botti finali: Yaca, che non sai mai se più propensa ad inseguire echi etno tribali o medievaleggianti, ha una melodia epica ed un mescolarsi di chitarre e pump organ, la fantastica Prayer Of Wind, inframmezzata da deviazioni ritualistiche, suona come se Grace Slick avesse avuto gli Akron/Family come backing band, The Sound Of Death è una sorta di volo mistico ascensionale, in continuo crescendo. Ma quanto spacca questo disco dei maceratesi Aedi? Tantissimo! Disco del mese! BUSCADERO
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