È l’incontro tra due violenze: simbolica, quella di Giasone, reale e quella di Medea. Si tratta di una tragedia non come rappresaglia individuale, ma come uno scontro tra due concezioni delle forze, umana e magica, di un uomo ambizioso e una donna stratega. Sabato primo luglio, nuovo appuntamento della rassegna “Pompei Theatrum Mundi”.
Nella spettacolare cornice del teatro grande del parco archeologico di Pompei, è andata in scena la tragedia: “Medea” di Euripide. Con la regia di Federico Tiezzi si è potuto assistere a una Medea che sogna il mondo del prima, un mondo tribale lontano, e una terra che si macchia dai rimorsi.
Una perfetta narrazione della nutrice che detta il tempo del racconto, una voce che intende fermare l’ira della vendetta da parte di Medea contro Giasone. Durante la rappresentazione si è potuto percepire lo scontro tra una società arcaica e una società che potremmo definire post-industrale.
Tra debolezze, dolori e sfide, Medea afferma la sua forza vendicativa contro Giasone, contrapponendo la distruzione fisica della famiglia: il corpo viene prima di ogni metafora, soccombono i figli, soccombe l’idea stessa del futuro. Alla fine, resta soltanto il silenzio.
A dare vita alla messa in scena, sono saliti sul palco: Laura Marinoni (Medea), Alessandro Averone (Giasone), Debora Zulini (la Nutrice), Riccardo Liovemore (Pedagogo), Roberto Latini (Creonte), Luigi Tabita (Egeo), Sandra Toffolatti (nunzio), Francesca Ciocchetti (prima Corifea).
Alla tragedia si aggiungono le voci del coro che compongono la musicalità e il ritmo parlato che preclude lo sterminio. Medea entra in scena dopo che la nutrice ha narrato come dalla Colchide, la principessa discendente dal sole, abbia seguito Giasone a Corinto, e là sia stata abbandonata per Glauce, figlia del re Creonte. Si sentono quindi i lamenti e le urla di Medea, mentre il coro è in scena, finché la protagonista entra e denuncia la propria condizione, sfortunata come quella che è, in genere, femminile. Entra, questa volta Creonte con l’intenzione di esiliare Medea ma, grazie alla sua abilità, riesce a strappargli un giorno in più a permanere a Corinto. Da qui, la minaccia e la vendetta contro Giasone, con maggiore convinzione strategica stimolata dall’incontro con il re di Atene, Egeo.
Dopo aver inviato per mano dei propri figli dei doni avvelenati a Glauce, che uccideranno lei e il padre, Medea uccide i figli, annientando così l’esistenza di Giasone portando con sé i corpi dei suoi fanciulli sul carro del Sole, verso Atene. Alla fine, chi era salito sul carro dei vincitori (Giasone), è caduto distruggendo, appunto, l’idea stessa del futuro.