In scena, al Teatro Mercadante di Napoli, Il Delitto Di Via Dell’Orsina di Eugène Labiche, nella traduzione, adattamento e regia di Andrée Ruth Shammah, con Massimo Dapporto, Antonello Fassari, Susanna Marcomeni, e con Marco Balbi, Andrea Soffiantini, Christian Pradella, Luca Cesa-Bianchi, accompagnati al pianoforte dal M° Giuseppe Di Benedetto; una co-produzione Teatro Franco Parenti di Milano e Fondazione Teatro della Toscana (repliche fino a dom. 20 febbraio).
L’Affaire de la rue de Lourcine (questo il titolo originale) è una delle più tipiche e fortunate pochade del Maestro del teatro francese dell’Ottocento, Eugène Labiche, che data al 1857, ed è considerata un’antesignana della commedia musicale. Un uomo si sveglia e si ritrova uno sconosciuto nel letto. Entrambi hanno una gran sete, le mani sporche e le tasche piene di carbone ma non sanno perché: non ricordano niente della notte precedente. Lentamente tentano di ricostruire quanto accaduto, ma l’unica cosa di cui sono certi è di essere stati entrambi ad una festa di ex allievi del liceo. Di quello che è accaduto quando hanno lasciato il raduno non sanno niente. Da un giornale apprendono che una giovane carbonaia è morta quella notte e tra una serie di malintesi ed equivoci si fa strada la possibilità che i due abbiano commesso quell’efferato omicidio. «Appena l’ho letto – dichiara Andrée Ruth Shammah – ho pensato che sarebbe stata una grande sfida, un’opportunità per una regia sorprendente. Pensando a questi due personaggi, profondamente diversi l’uno dall’altro – uno ricco, nobile, elegante e l’altro rozzo, volgare, proletario che devono confrontarsi con quello che credono di aver fatto – ho pensato subito a Massimo Dapporto e Antonello Fassari, un’accoppiata con cui non avevo mai avuto l’occasione di lavorare – e che non aveva mai lavorato assieme – ma che ho immaginato perfetta per dare vita a questa storia. Io l’ho vissuta come una scommessa, come la possibilità di dare vita ad uno spettacolo leggero e divertente ma allo stesso tempo profondo; una riflessione sull’insensatezza e l’assurdità della vita».
Capita, a volte, che i risultati disattendano i migliori propositi. Questo è uno di quei casi. Occorre tener presente che questo tipo di teatro altro scopo non aveva che quello di divertire il pubblico borghese che vi assisteva, esasperando difetti e caricaturando personaggi e situazioni in cui quel pubblico si riconosceva, senza nessun’altra pretesa. La comicità, in questi testi, è tutto, senza la quale il testo vuol dire ben poco. E qui si ride poco. Andrée Ruth Shammah trasporta inspiegabilmente l’azione agli anni ’40 del Novecento (operazione – dunque – né filologica né di attualizzazione) rendendo, così, incomprensibili alcuni dettagli, come la livrea settecentesca che il vecchio cameriere ha ricevuto in eredità da suo padre e che, in procinto di pensionarsi, lascia in eredità al giovane cameriere (cosa che sarebbe stata del tutto congrua se l’azione si fosse svolta, come da testo, a metà Ottocento). Le scene di Margherita Palli, con fondale chiaramente dipinto e volutamente finto si adatterebbero meglio ad uno spettacolo di Commedia dell’Arte che al realismo della Commedia Borghese ottocentesca. I due protagonisti, Massimo Dapporto e Antonello Fassari (forse un po’ agé per i ruoli ricoperti), malgrado la loro bravura, riescono ad imprimere pochi guizzi ad una commedia degli equivoci che avrebbe bisogno di ritmi sostenuti e continue trovate comiche per non risultare lenta, a tratti soporifera.