Il Teatro Mercadante di Napoli propone Circus Don Chisciotte di Ruggero Cappuccio, con Marco Cacciola e Michelangelo Dalisi, per la regia di Antonio Latella; una produzione Teatro di Napoli-Teatro Nazionale e Campania Teatro Festival (repliche fino a domenica 26 novembre).
Dopo il successo ottenuto l’estate scorsa al Campania Teatro Festival, torna al Mercadante Ruggero Cappuccio, intellettuale tra i più apprezzati autori teatrali italiani, con Circus Don Chisciotte, riscrittura – ovviamente – molto personale e originale del classico di Cervantes. Le gesta tragicomiche del duo Don Chisciotte-Sancho Panza, sono al centro anche di questa versione ma con qualche differenza. Nel caso di Cervantes, i due vagabondavano in veste di Cavaliere Errante col suo scudiero in cerca di torti da raddrizzare e di vittime di soprusi cui dare giustizia, avendo come stella polare il raggiungimento di Dulcinea del Toboso, quale premio per le fatiche affrontate. Qui il viaggio diventa mentale, metafisico. Al centro del dramma di Cappuccio v’è la Parola. V’è la ricerca della parola, dunque di un linguaggio comune, che affianca Sancho a Don Chisciotte, il popolano all’aristocratico, l’ignorante pieno di buon senso all’intellettuale sognatore che gli fa scoprire un mondo nuovo, che trascende quello dell’esperienza empirica.
“Assistiamo a due uomini – riflette Latella – che fuggono da loro stessi per incontrare un altro sé, nei luoghi della mente, nei luoghi abitati solo dalla parola e dalla lingua. La lingua come unica possibilità per viaggiare nell’infinito mondo, nonostante il nostro essere creature finite. Infatti, il più grande dono che ci è stato dato è la parola, dalla parola noi abbiamo fatto lingua, il nostro eterno viaggiare”.
La regia di Antonio Latella è – come al solito – spiazzante, decisa, dai colori forti. Egli svuota la platea delle file di poltrone (gli spettatori veri assistono dai palchi) e vi piazza poltrone e sedie con altrettanti schermi televisivi fruiti da una ventina di generici che chiama “viaggiatori”. Su tutti campeggia, infatti, uno di quei vecchi tabelloni orari con lettere girevoli che si trovavano una volta nelle stazioni, e che qui viene utilizzato per sottolineare alcune parole o frasi. Tra i “viaggiatori” e sul palcoscenico vuoto e rigorosamente privo di quinte e fondale agiscono i due protagonisti, in un susseguirsi di situazioni assurde alternate a profonde riflessioni. Il Don Chisciotte di Michelangelo Dalisi è appassionato quanto ostinato. Si avverte, nell’interpretazione, un’urgenza di portare l’opera a compimento, quasi si trattasse di una missione mistica. Di contro, il Sancho dell’istrionico Marco Cacciola fa da contrappunto prosaico e comico agli slanci lirici del suo padrone. Ci troviamo di fronte a due attori di prima grandezza, che accolgono su di sé, interamente, lo sforzo di quasi due ore di spettacolo faticoso sia dal punto di vista fisico che verbale. Spettacolo che quasi sempre fila via liscio e senza intoppi, che tuttavia andrebbe sfrondato delle parti in cui poco o nulla succede. Suggestivo, invece, il testo di Cappuccio, fedele al romanzo e allo stesso tempo originale. Forse perché, come dice il suo Don Chisciotte, “un libro si scrive ogni volta da capo quando da capo si legge con amore”.