Al via la stagione del Teatro Mercadante con Leo Gullotta in Prima del Silenzio di Giuseppe Patroni Griffi, per la regia di Fabio Grossi, prodotto dall’ Eliseo di Roma in collaborazione con Fuxia – Contesti d’Immagine s.r.l. (repliche fino a dom. 1 Dic.).
Il testo, scritto dal drammaturgo – regista napoletano nel 1979 per Romolo Valli e la regia di De Lullo, fu l’ultima prova del grande interprete prima della sua tragica e prematura scomparsa. Fare una sinossi della trama è compito arduo, in quanto si tratta di un’ora e mezza di flusso di coscienza del protagonista, un vecchio poeta, alle prese coi propri ricordi e coi propri fallimenti di una vita consacrata alla ricerca della libertà, per la quale non ha esitato a sacrificare famiglia, affetti e posizione sociale. A fare da contrappunto al suo racconto, un giovane di cui forse s’innamora, tanto simile a lui ma allo stesso tempo a lui antitetico, di un egocentrismo narcisistico, più superficiale forse, ma anche più pragmatico. A dividere i due, soprattutto l’uso delle parole: per l’uno, strumento indispensabile per creare una realtà migliore, dando esse corpo ai sogni, all’immaginazione, alle aspirazioni dell’uomo; per l’altro, semplice mezzo per indicare ciò che è concretamente. Su questa incomunicabilità si basa il conflitto generazionale e culturale (tanto caro al drammaturgo) tra i due, che non vedrà nessun vincitore. A segnare i vari passaggi dello scontro, visioni del passato che tornano a tormentare il Poeta: la Moglie, al tempo stesso schiava e ricattatoria; il Figlio, prodotto della società piccolo – borghese da cui egli è fuggito; il Cameriere, senso del dovere che costringe e castra.
Se è vero che lo stesso Patroni Griffi ebbe a dire che “nel Teatro, ciò che interessa non è la trama ma i personaggi”, quindi “il Teatro si basa sugli attori”, l’attore – qui impegnato nel non facile compito di dare voce e difesa alle parole del poeta/drammaturgo, “prima del silenzio degli uomini” – si mostra perfettamente all’altezza del compito. Il fatto è che Gullotta è un affabulatore nato e conosce alla perfezione i “trucchi del mestiere”: dove dare enfasi al discorso, dove fare pause, dove essere emotivamente coinvolto, dove distaccato. In ciò coadiuvato dal bravo Eugenio Franceschini, che da semplice spalla diventa co-protagonista in un crescendo di tensioni e botta e risposta che lo impongono sulla scena al pari del suo Maestro.
Ma soprattutto bella, efficace, pensata la regia di Grossi, che si avvale dei video di Luca Scarzella, le luci di Umile Vainieri e le scene di Luca Filaci per dare corpo ad uno spettacolo – anche dal punto di vista estetico – sorprendente, innovativo, emozionante, in una parola: bello. Anche perché qui nulla è gratuito: dal nudo del giovane, per sottolineare la frivolezza e la vacuità del suo senso di libertà; all’uso massiccio della realtà virtuale, che dà forma e corpo alle visioni – incubo del Poeta e magicamente si fonde con la realtà degli attori in carne e ossa. A questo proposito, vale la pena ricordare i bravi Sergio Mascherpa e Andrea Giuliano nei ruoli del Cameriere e del Figlio, e soprattutto la Moglie di Paola Gassman, che qui raggiunge piena maturità artistica. Come scrive lo stesso Grossi, “un racconto tecnologico per una sensazione assoluta”.
Da vedere.