Esattamente a 130 anni dalla nascita di Albert Einstein, Stephen Hawking si è spento all’età di 76 anni. Uno dei cosmologi più celebri degli ultimi decenni per le sue teorie sui buchi neri e l’origine dell’universo, Hawking lo ricordiamo essere stato uno dei ricercatori che più ha fatto discutere per le sue affermazioni al confine tra cosmologia e religione.
Ha sfidato fin dall’adolescenza una crudele forma di atrofia muscolare progressiva che lo aveva costretto alla paralisi: una sedia a rotelle progettata su misura ed un computer con sintetizzatore vocale divennero presto sui preziosi alleati per permettergli di comunicare con il mondo e far conoscere le sue rivoluzionarie teorie sullo spezio. Nato ad Oxford l’8 gennaio 1942 (data che egli stesso teneva a precisare, segnava 300 anni esatti dalla morte di un altro gigante dell’astronomia, Galileo Galilei, che si era spento l’8 gennaio 1642), Hawking è stato sempre affascinato dell’universo e nel 1963 questa sua passione lo portò all’università di Cambridge. Successivamente tra il 1965 ed il 1975 ha scritto il suo libro più famoso: “Dal Big Bang ai buchi neri, breve storia del tempo” e sempre a Cambridge, dal 1976 al 2009 ha occupato anche la cattedra che era stata di Isaac Newton.
Le sue ricerche sui buchi neri hanno permesso di confermare la teoria del Big Bang (l’esplosione dalla quale è nato l’universo). Dagli anni ’70 iniziò quindi a lavorare sulla possibilità di integrare le due grandi teorie della fisica contemporanea: la teoria della relatività di Einstein e quella della meccanica quantistica. Le sognava riunite nella “teoria del tutto”, che nel 2014 ha ispirato il film di James Marsh a lui dedicato.
Lo scienziato avrebbe voluto sulla sua lapide la formula di massa, ossia la formula matematica che misura l’energia emessa dai buchi neri al momento della loro nascita, una sorta di primo vagito di quei giganti cosmici.