Oggi all’età di novanta anni è morto Dario Fo. Che cosa sciocca ricordare un grande maestro con selfie su facebook, ma il copione è ormai noto. Nel 2016 sono morti molti personaggi del mondo artistico, penso a Gene Wilder, Anna Marchesini, Paolo Poli, Bud Spencer, Prince e pochi minuti dopo l’annuncio di una morte illustre i social vengono invasi da foto che immortalano il personaggio al fianco dei possessori dei vari profili. Fare una foto con qualcuno non vuol dire conoscerlo. Bisognerebbe avere la contezza di quel che è stato ed ha fatto un artista, un cantante, un attore, un regista, non ridurli a un’immagine distorta della realtà virtuale. Alcune perdite subite in questo anno ci hanno spiazzato, hanno lasciato vuoti incolmabili, ci sentiamo un po’ più soli, molto vulnerabili. Per fortuna le opere di questi personaggi ci restano e alleviano la nostra pena.
Trovo sacrosanto ricordare che Dario Fo si è battuto per tutta la vita contro l’affermazione secondo cui “la cultura dominante è quella della classe dominante”, con i suoi spettacoli, con i suoi testi cercava di far affermare il principio secondo il quale è il popolo il depositario delle radici della propria cultura; per questo nel 1997 gli è stato conferito il Premio Nobel per la Letteratura “perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”.
Ma chi era Dario Fo? Figlio di un ferroviere nato il24 marzo 1926 in un paesino della provincia di Varese, Leggiuno – Sangiano; si trasferisce giovanissimo a Milano dove frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera. La prima fase della sua vita artistica è caratterizzata dall’improvvisazione, un genere che lo caratterizza molto.
Ha cominciato a collaborare alla stesura di testi per la Rai nel 1952 per le trasmissioni del “Poer nano” e successivamente per “Sani da legare” trasmissione dedicata alla vita quotidiana nell’Italia dei conflitti politici. Per questi testi l’artista fu duramente censurato.
Nel 1959 crea con la compagna di vita e di scena, Franca Rame, un gruppo teatrale che porta il suo nome: inizia così il periodo delle censure reiterate da parte delle istituzioni allora vigenti
Nel frattempo, tenta anche l’esperienza del cinema. Diventa co-sceneggiatore ed interprete di un film di Carlo Lizzani (“Lo svitato”, 1955); nel 1957 invece mette in scena per Franca Rame “Ladri, manichini e donne nude” e l’anno successivo “Comica finale”.
Con “Mistero buffo” del 1969-70 Dario Fo confeziona un prodotto geniale; in questo lavoro porta avanti la ricerca sulle origini della cultura popolare. I testi riecheggiano il linguaggio e il parlato medioevale, ottenendo questo risultato tramite un miscuglio di dialetto “padano”, di espressioni antiche e di neologismi creati dallo stesso Fo. Tutto questo è il “Grammelot”, un linguaggio espressivo di sapore arcaico, combinato alle infinite doti attoriali dell’attore.
Il suo esilio dalla tv dura 15 anni, vi torna nel 1977.
Negli anni ’80 ha continuato a produrre opere teatrali, come “Johan Padan a la descoverta de le Americhe” e “Il diavolo con le zinne”, occupandosi anche di regia e di didattica.
Nel 1997 riceve il Premio Nobel per la Letteratura suscita molti consensi ma anche tante critiche.
Nel maggio 2013 l’amata moglie muore e lui continua la sua attività artistica dedicandosi anche alla politica sostenendo le idee del Movimento 5 stelle.
Muore oggi e ci lascia sempre più orfani, più soli, eternamente riconoscenti al suo genio e alla sua arte.