“Io abito Io” è un documentario cinematografico indipendente, ideato, scritto e diretto da Simone Giovanni Bregante e Matteo Canzano. Il tempo e la consapevolezza sono i due concetti base che ruotano intorno alle storie di quattro protagonisti: un neonato, una giovane street artist, un ex-detenuto, e un saggio eremita. Anche se tra di loro non vi è nessun tipo di relazione, ad accomunarli è proprio la diversità. Infatti, ogni personaggio del docufilm incarna realmente una differente fase dell’esistenza: origine della vita, giovinezza, maturità e la saggezza. Si tratta di un documentario lontano dallo stile del reportage o dell’inchiesta, in cui nessuno dei protagonisti ha un contatto diretto con il documentarista, e la macchina da presa svolge una funzione di invisibilità, in favore di una realtà incontaminata. Per conoscere in maniera più dettagliata questo progetto filmico, abbiamo intervistato gli ideatori Simone Giovanni Bregante e Matteo Canzano.
Come nasce l’idea di questo progetto?
Simone: «Questo progetto nasce da un’idea mia e di Matteo. Ci siamo conosciuti alla scuola Civica del cinema a Milano e da quel momento siamo diventati amici e abbiamo deciso di realizzare questo film, facendo per prima cosa un sopralluogo in giro per L’Italia, alla ricerca di persone e personaggi. Inizialmente l’dea era quella di raccontare un documentario sulle persone che vivono in modo anticonvenzionale, però poi conoscendo alcuni protagonisti, abbiamo deciso di cambiare. La prima tappa è stata in Piemonte alla ricerca di un fantomatico popolo degli alberi, una piccola comunità che viveva appollaiata in cima agli alberi, ma non li abbiamo trovati. In compenso però abbiamo trovato a Vildracco, sempre in Piemonte, un’altra comunità che si chiama Damanhur, che significa città del sole. La loro particolarità sta nel fatto che quando entri a far parte di questa comunità, perdi il nome di battesimo e acquisti il nome di un animale e il cognome di un vegetale, quindi ci siamo trovati a vivere delle situazioni davvero particolari».
Matteo: Questo progetto è stato sempre in continuo mutamento fino alla fase di post produzione. Ci siamo particolarmente affezionati perché siamo cresciuti molto nel realizzare questo documentario. Abbiamo comunicato quattro anni fa con i sopralluoghi e poi abbiamo proseguito, e man mano andando avanti sono nati nuovi spunti, nuove idee che ci hanno permesso di realizzare “Io abito io”.
Oltre al Piemonte quali sono gli altri posti che avete visitato?
«Matteo: Oltre al Piemonte abbiamo toccato il Lazio, la Campania, la Basilicata, la Toscana e la Liguria, alla ricerca di potenziali personaggi che vivessero al di fuori degli schemi sociali. In Liguria siamo stati a Bussana Vecchia, un borgo medievale che a seguito di un terremoto è rimasto disabitato, fino agli anni ’60 quando è stato ricostruito abusivamente da un centinaio di artisti».
Di cosa parla “Io abito io”?
Simone: «È un documentario che ha come suo argomento di base un qualcosa di astratto, poiché il tema centrale è il tempo, che strada facendo ha trovato un altro concetto che è quello della consapevolezza. Si parla della vita di quattro personaggi, ognuno di loro incarna una fase dell’esistenza: l’Origine, la Giovinezza, la Maturità e la Saggezza. La cosa interessante è che in ogni protagonista troviamo il rapporto tra tempo e consapevolezza piuttosto evidente e piuttosto importante».
Matteo: I singoli personaggi sono il tramite per raccontare questo concetto di consapevolezza attraverso il tempo. Ad esempio il personaggio di Massimiliano, l’ex detenuto che ha scontato vent’anni di carcere vivendo una vita sregolata, inizialmente aveva una sua consapevolezza della vita, ma al suo ritorno a casa dal carcere, avendo perso i rapporti con la famiglia, si è dovuto mettere in discussione lavorando ad un processo di redenzione».
Dove è stato girato il film?
Matteo: «Il film è stato girato per la maggior parte a Milano e sulla Costiera Amalfitana, dove appunto vive Gianni, l’eremita».
Parliamo degli attori che sono stati scelti per questo documentario.
Simone: «Il cast è composto da Luca, un bambino che oggi ha due anni, ma quando abbiamo cominciato il progetto aveva sei mesi. Cheris, una giovane e talentuosa street artist, il terzo protagonista è l’ex detenuto Massimiliano e poi Gianni che è l’eremita».
In quanto tempo è stato realizzato?
Simone: «Contando i sopralluoghi è durato quattro anni, mentre se partiamo dalle riprese è durato due anni».
Avete lanciato anche una campagna crowdfunding?
Matteo: «Un anno e mezzo fa, a riprese già iniziate, avevamo già girato con Massimiliano e Gianni, dopodiché, come spesso accade per le produzioni indipendenti, non siamo più riusciti a trovare dei fondi, quindi abbiamo organizzato una campagna crowdfunding che ci ha permesso di completare il film».
In che modo sarà distribuito?
Simone: «Attualmente stiamo partecipando ai bandi di selezione di alcuni festival, allo stesso tempo stiamo anche cercando delle case di distribuzione che siano interessate al progetto».
Matteo: «Non nascondiamo che l’ideale sarebbe trovare l’interesse da parte di una casa di distribuzione, di un emittente televisiva o di piattaforme on demand. Ci piacerebbe avere un ritorno economico poiché sia io che Simone abbiamo investito tanto in questi anni. Sicuramente non è un film commerciale, ma noi crediamo molto in questo documentario».