Attore e Produttore italiano, Riccardo Scamarcio, al Social World Film Festival ha ricevuto il Golden Spike Award dalla mani del sindaco Benedetto Migliaccio ed ha apposto la firma per il “Wall of Fame”, monumento del cinema. Durante l’incontro con la stampa, Scamarcio ha raccontato interessanti anedotti sulla sua vita.
Nel tuo percorso artistico ha saputo raccogliere diversi risultati, lavorando con registi come Michele Placido, Ferzan Ospetek, Sergio Castellitto, Pupi Avati…Come descriveresti il tuo ultimo anno lavorativo?
«Ho fatto diversi lavori. Anche quest’anno è stato molto intenso, non mi sono mia fermato. Posso dire che per me è un periodo buono e si avverte anche un’ aria di cambiamento. Siamo un poco tutti stanchi di questa situazione di incertezza, sia nel cinema ma anche nell’arte in generale e proprio questa situazione che credo ci spinga oggi a fare delle cose belle e dare uno slancio autentico che ci faccia uscire finalmente fuori da questa ipocrisia di linguaggio.»
Hai partecipato al film di Rocco Papaleo “Una piccola impresa meridionale” trattando con ironia temi sociali abbastanza spinosi, secondo te oggi sull’opinione pubblica incide di più un film drammatico oppure uno comico?
«Secondo me incide di più un film drammatico.Sicuramente la commedia è un genere molto importante, senza l’ironia saremmo tutti sicuramente più tristi, ma paradossalmente, oggi, credo che sia fondamentale nel cinema vedere qualcosa di emozionante, triste, drammatico che penetri dentro, che sia in grado di emozionare e far riflettere in cui chi lo vede possa riconoscersi nel dolore del protagonista. In questo senso il cinema drammatico può diventare addirittura lenitivo, riuscendo ad essere liberatorio in questo periodo di grande incertezza generale.»
Secondo te come dovrebbe essere il cinema oggi?
«Il cinema oggi dovrebbe essere svincolato dal risultato. Ci sono i film di denuncia che hanno questa funzione di raccontare un certo tipo di storie, poi per il resto il cinema dovrebbe essere svincolato da qualsiasi limite. Un film a mio parere deve essere inteso come “un’arte in divenire” subordinato ad infinite variabili.»
In una società come quella di oggi, sempre più competitiva dove riuscire ad affermarsi in qualsiasi professione è sempre più difficile, che difficoltà hai riscontrato all’inizio della tua carriera?
«Sinceramente quando ho iniziato volevo fare l’attore e volevo fare cinema, avevo cominciato col teatro, però, la mia aspirazione vera era il cinema. È chiaro ch c’è sempre la voglia di affermarsi in questo settore, me essendo motivato da una forte passione, anche una piccola parte per me è veramente una cosa importante. Il mio lavoro è complicato, difficile, perché si è sempre sull’orlo del precipizio, occorre sempre re-inventarsi, bisogna sempre essere attenti a capire in che direzione si sta procedendo e contemporaneamente si cresce. Dunque si vive questo senso di continua incertezza anche dopo che ti sei affermato.»
Come ti immagini tra 30 anni, che obbiettivi professionali vorresti raggiungere?
«I miei obiettivi sono sicuramente quelli di aiutare il cinema italiano a ritornare a splendere come deve e come può fare, soprattutto in ambito internazionale. Se devo darmi un obiettivo è certamente quello di lavorare in questo senso, con la consapevolezza di un uomo di 35 anni che conosce, in piccola parte, come funzionano le cose in Italia e fuori dall’Italia, come funzionavano un tempo, quindi si pone degli interrogativi.»
Ospite alla quinta edizione del Social World Film Festival nella serata dedicata a Francesco Rosi e Virna Lisi. Ti piacerebbe produrre in futuro un film del che abbia la stesso spessore di quelli di Francesco Rosi?
«Magari. Rosi per me è un riferimento fondamentale, ha prodotto lavori incredibili, film grandiosi. Registi come lui hanno fatto grande il nostro cinema. Non avevano paura di andare al di là del formalismo.»