“A Testa Alta” titolo originale “La Tête Haute” – selezionato per l’apertura del Festival di Cannes 2015 – è un film scritto e diretto da Emmanielle Bercot, in uscita nelle sale il prossimo 19 novembre 2015.
Prodotto da Les Films Du Kiosque e distribuito da Officine Ubu “A Testa Alta” racconta di Malony, un minore abbandonato dalla madre quando aveva sei anni. Malony (Rod Paradot), completamente allo sbando, entra ed esce dal tribunale dei minori. Attorno a questo ragazzo si forma una famiglia adottiva composta da Florence (Catherine Deneuve) un giudice minorile vicino alla pensione e da Yann (Benoît Magimel) un assistente sociale a sua volta reduce da un’infanzia molto difficile. Insieme seguono il percorso del ragazzo e tentano testardamente di salvarlo. Poi Malony viene mandato in una struttura correttiva più restrittiva, dove incontra Tess (Diane Rouxe), una ragazza molto speciale che gli dimostrerà che ci sono motivi per continuare a sperare.
Nel cast Catherine Deneuve, Benoît Magimel, Sara Forestier, Rod Paradot, Ludovic Berthillot, Diane Rouxel, Aurore Broutin.
Intervista a Catherine Deneuve
Come definiresti il tuo personaggio?
«Emmanuelle mi ha riportato una storia che le aveva raccontato suo zio, un assistente sociale per minori. Un giudice donna, parlando di un giovane delinquente di cui si stavano entrambi occupando, gli disse, “Tu sei sua madre e io sono suo padre!” Credo che riassuma abbastanza bene il personaggio del giudice. Direi, per rimanere nella metafora famigliare, che questo giudice a volte fa il padre perché è lei a punirlo, anche se, quando decide di mandare Malony in prigione, lo fa sia perché lui non capirebbe se non lo facesse – visto che non aveva rispettato l’accordo – ma anche per proteggerlo da se stesso. Si comporta come un padre, ma è anche una donna, ha le reazioni di una donna e di una madre. Sa come ascoltare e capisce quando lui sta per crollare, quando è sull’orlo delle lacrime, persino quando non riesce ad esprimere quanto le cose siano diventate impossibili da sopportare per lui.»
Cosa hai trovato più eccitante? Lavorare di nuovo con Emmanuelle Bercot? Interpretare il personaggio di un giudice minorile compassionevole?
«Innanzitutto, lavorare di nuovo con lei, e su un progetto completamente diverso da quello precedente. Ma anche lavorare di nuovo con la sua squadra, Guillaume [Schiffman], il suo operatore, Pierre André, il suo ingegnere del suono. In secondo luogo, interpretare un ruolo come quello, il ruolo di un giudice… che in effetti non giudica! Un giudice che ascolta, che cerca di capire cosa sia meglio per il ragazzo perduto che le sta di fronte. Questo è ciò che più mi ha colpito durante il tempo passato in tribunale: la perseveranza, l’indulgenza, la sconfinata compassione di questi giudici e assistenti sociali, soprattutto se si considera che hanno a che fare con ragazzi che possono essere piuttosto terribili.»
Si dice che tu preferisca ricorrere all’immaginazione piuttosto che lavorare sui personaggi che interpreti. È stata una tua idea osservare quello che succede nel tribunale dei minori?
«Sia io che Emmanuelle abbiamo ritenuto sin dall’inizio che fosse utile vedere cosa succede veramente e come funzionano le cose. Non per fare ricerca, ma per captare il tono, il colore della voce, come si esprimono le persone, come parlano. Nell’interpretare un giudice, c’è il rischio di illustrare una funzione piuttosto che dare corpo a un individuo. Ho trovato la sceneggiatura molto buona, e mi piaceva quel ruolo, ma mentre ci ragionavo, mi sono resa conto che non sarebbe stato facile. È un po’ un continuo susseguirsi di domanda-risposta. Il dialogo si basa molto sui fatti, ed è anche molto specialistico. Avevo bisogno di vedere come andavano le cose nella vita reale, nel vero ambiente. Per molte settimane ho assistito a varie sessioni e udienze. Mi ricordo una sessione in cui c’erano due ragazzi e una ragazza che non volevano tornare con il padre. Anche la madre era presente, naturalmente. C’erano anche gli assistenti sociali dei ragazzi, quelli della famiglia, gli avvocati e il giudice. Posso assicurarvi che erano tutti ben consapevoli del momento, del dolore e degli eventi drammatici. La cosa che mi ha sorpreso di più è stata accorgermi dell’importanza che viene data a questi adolescenti, tutto il tempo che viene loro dedicato. Ti fa capire che viviamo in un paese molto civile! Uno dei punti di forza del film è richiamare l’attenzione sul lavoro instancabile di queste persone di cui non sappiamo molto, sulla loro perseveranza, la loro pazienza. Sono rimasta colpita dalle buone intenzioni che li muovono e dalla loro incredibile capacità di ascoltare.»