Al via la rassegna L’Armonia Perduta che lo spazio del Ridotto del Mercadante dedica quest’anno agli scritti di Raffaele La Capria. Si comincia con L’Amorosa Inchiesta con Gaia Aprea, per la regia di Luca De Fusco, in scena fino a domenica 19 Gennaio.
Il testo è tratto dal romanzo epistolare del 1986, costituito da tre lettere che l’autore scrive a Elène, suo primo amore, alla figlia e al padre, ripercorrendo così tre fasi della propria vita sentimentale: l’adolescenza, la maturità e la vecchiaia. In esso sono contenuti alcuni motivi cardine dell’opera lacapriana: la pericolosità della bellezza (la sua Elène porta il nome della bella troiana, causa di tanti lutti), la critica feroce alla borghesia napoletana, vittima di cliché e del culto dell’apparire, la forza oppressiva che l’ambiente esercita sui personaggi, la confusione dei sentimenti, soprattutto nell’età adolescenziale. Non a caso, spiega La Capria, “l’ossimoro del titolo, dove all’aggettivo Amorosa, che evoca la sfera sentimentale, è affiancato il sostantivo Inchiesta, che evoca quella intellettuale e, con essa, un severo giudizio sull’incapacità di gestire i sentimenti”. Lo spettacolo si concentra sulla prima lettera, quella ad Elène appunto, in cui riemergono alla memoria i primi palpiti, le prime ansie e paure, i primi disinganni di un’età che pur dovrebbe essere un’età felice. Il protagonista s’innamora di una ragazza che non ha ancora visto, solo perché il nome di lei è sulla bocca di tutti i suoi amici. Questi sono tutti percepiti da lui come più belli, più à la mode (oggi diremmo “più fighi”), più estroversi e simpatici. Sanno persino ballare. Il suo senso di inadeguatezza lo spinge a rifugiarsi nella letteratura, l’unico campo in cui sa di non temere rivali. Ma galeotta sarà proprio una libreria dove la bella Elène, fortuitamente, lo incontra e, inaspettatamente, s’innamora di lui. Ciò che potrebbe essere l’inizio di una bellissima storia, però, è rovinato dall’insicurezza di lui: per il solo fatto che ella dimostri interesse nei suoi confronti, perde ai suoi occhi tutto l’appeal. E’ una tardiva quanto amara riflessione sull’impossibilità di amare gli altri, se prima non si ama se stessi.
De Fusco racchiude il personaggio di Elène, come i ricordi delle “vasche” in via dei Mille, dei “balletti” in casa e delle estati positanesi anni ’50, sotto una campana di vetro. La bella Elène, che da attempata signora ringiovanisce man mano che procede nella lettura della lettera, diventa così “«una donna angelicata – spiega il regista – ma anche sottilmente in vendita, come lo è sempre una donna racchiusa in una vetrina». La regia evidenzia bene lo stato d’animo di rimpianto misto ad una malinconica ironia che sempre fa da sfondo alla scrittura dell’autore. Gaia Aprea è un’attrice immensa, capace com’è di impersonare allo stesso tempo la Elène vecchia, la Elène giovane e lo stesso autore. La campana di vetro di Luigi Ferrigno, coi riflessi delle luci di Gigi Saccomandi, moltiplica le figure sulla scena, dando la sensazione onirica di avere tutti i personaggi presenti contemporaneamente. Commoventi e struggenti le musiche originali di Paolo Coletta.
Bellissimo.