Teatro Don Bosco, Caserta, 16 febbraio 2014. Facciamo un esperimento: proverò a raccontarvi cosa ho vis(su)to durante lo spettacolo “Oltre gli occhi” della Compagnia CineTeatro “Laboratorio Zero” senza mai usare l’acronimo “LIS”.
Siamo al parco e due amiche si ritrovano dopo anni di silenzio e d’assenza. Un appuntamento su quella che una volta era la loro panchina, un incontro – ricordo dove entrambe continuano a perdersi. Tante strade parallele prima di raggiungere un incrocio comune sotto la luce oscillante di uno stesso lampione. Barlume che illumina e guida i loro pensieri.
Ecco quindi che tutto inizia con un incontro. O forse, sarebbe meglio dire che tutta la storia si fonda su un semplice abbraccio.
Abbraccio che abbatte la superiorità di vista e udito, abbraccio che fa rinascere olfatto e tatto: sensi antichi che tornano a regnare grazie a un capo immerso fra una testa e una spalla. Abbraccio che è intreccio vitale in cui suoni, cure, appuntamenti, scadenze e doveri svaniscono insieme al lampione. Abbraccio che rende interi, nonostante tutte le mancanze.
La storia continua e stringe altre persone: la donna che non ha paura di morire per salvare il mondo, l’uomo che vive nascondendo l’amore per il suo compagno, la donna privata di dignità e quella a cui è stato strappato l’amore per concludersi poi con l’uomo che ha lasciato e perso la sua famiglia.
Un racconto dove sono le mani a cucire le parole.
Niente però finisce qui. Il regista Dario Pasquarella, infatti, ha rappresentato i retroscena delle torture naziste venute alla luce solo negli anni ’70, momento in cui iniziarono finalmente le ricerche per capire cosa fosse successo a tutte le minoranze presenti nei lager.
Minoranze di cui ancora oggi si preferisce non parlare, sbagli che si continuano a seppellire col e nel silenzio.
Anche “Oltre gli occhi” utilizza il silenzio, ma ci crea visioni mettendo in relazione parole essenziali. “Oltre gli occhi” rievoca Edgar Lee Masters: a metà spettacolo viene da chiedersi “a cosa serve il linguaggio per le cose profonde”, perché la verità è che “noi non sappiamo parlare”.
La potenza delle mani, supportata dai meravigliosi testi di Silvia Liberati obbligano lo spettatore (udente o sordo, non importa) a mettersi in relazione con il proprio corpo e con tutte le sue potenzialità comunicative.
Si inizia questo abbraccio collettivo convinti di non riuscire ad ascoltare il silenzio, si termina sentendosi come pesci che non chiudono mai gli occhi, ma sicuramente sanno come evitare le parole, di cui molto spesso è meglio non fidarsi.
Cast eccezionale quello del Laboratorio Zero, intensa la complicità e l’interazione di ogni singolo attore e anche quella tra le parole di Silvia e le mani di ognuno di loro.
La dimostrazione tangibile che, anche se non l’hanno ancora riconosciuta, non esiste una lingua più potente e diretta della LIS: ecco, alla fine l’ho usato.
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