In scena, al Teatro San Ferdinando, Circo Equestre Sgueglia, testo e musiche originali di Raffaele Viviani, prodotto da Teatro Stabile di Napoli, Napoli Teatro Festival e Teatro di Roma, nella versione del regista argentino Alfredo Arìas (repliche fino a dom. 2 Marzo).
Debuttato nel Giugno scorso, all’interno del Napoli Teatro Festival, Circo Equestre Sgueglia è il primo testo di Viviani in tre atti (ma qui non ci sono intervalli). Al suo debutto al Teatro Bellini nel 1922, in cui lo stesso Viviani interpretava il protagonista, producendosi in complicati e pericolosi numeri circensi, Circo Equestre Sgueglia ebbe un clamoroso successo. Ma suscitò anche perplessità nella critica dell’epoca, ancora non abituata ad un Viviani drammatico. Infatti, vi si narrano le peripezie di un gruppo di artisti girovaghi, alle prese con l’eterno problema di cosa mettere nello stomaco, e con l’amore e il tradimento: il pagliaccio Samuele è tradito dalla giovane moglie, Giannina, che scappa col più giovane Carletto, detto il Toscano; la remissiva Zenobia è tradita dal marito, Roberto, domatore (e dominatore), che fugge con Nicolina, figlia di don Ciccio Sgueglia, proprietario del Circo. Mentre si consumano questi drammi di un’umanità derelitta, però, si sa, “the show must go on”. E dunque si assiste ad un’alternanza di scene esilaranti e scene melodrammatiche, il tutto inframmezzato da canzoni e macchiette che sono entrate a far parte – a buon diritto – del repertorio classico napoletano.
Alternanza che è perfettamente bilanciata da Alfredo Arìas, che sa come valorizzare le doti di artisti eccezionali, appartenenti ad una fortissima cultura teatrale, come quella napoletana, ma evidentemente non così distanti dalla sua sensibilità latino-americana. Apprezzabile anche il suo non cadere nella trappola del facile sentimentalismo (cui il testo potrebbe indurre), quanto invece esaltare i momenti poetici – e ve ne sono – con massima sobrietà e discrezione. Pensiamo, ad esempio, al bel finale di stampo chapliniano. Da buon Argentino, Arìas sa cogliere il lato umano di personaggi ai margini, come quelli di Viviani, senza nessuna traccia di paternalistica pietà anzi, esaltando – dove possibile – il lato comico e variopinto del Circo. E’ da questo contrasto, vita reale-finzione scenica, che nasce stupore e commozione in un pubblico rapito, che tributa numerosi applausi a scena aperta. Scena anch’essa poetica, a firma di Sergio Tramonti, come i costumi di Maurizio Millenotti e le luci di Pasquale Mari che, nel loro complesso, restituiscono un mondo allo stesso tempo povero e colorato, squallido e magico. Eccezionali, si è detto, tutti gli interpreti, tra cui ricordiamo il grande Massimiliano Gallo (Samuele); la profonda Monica Nappo (Zenobia); il sempre istrionico Tonino Taiuti (Bagonghi); l’esplosivo Gennaro Di Biase (Bettina!). Mauro Gioia, nel ruolo del narratore (non previsto nel testo), aggiunge un sofisticato tocco brechtiano alla vicenda, oltre alle sue indiscusse qualità vocali. Uno spettacolo che resterà negli annali.
Da non perdere.