Anna Mazzamauro è una delle poche attrici in Italia che non si vende nel calderone della televisione, un’autentica professionista che rifiuta il ruolo di diva con la sua personalità che contrasta violentemente con lo stile di certe divette di oggi. Ci disarma con la sua strabiliante intelligenza, ironia e bravura. Per anni è stata la Ninfa Egeria del travèt Fantozzi, l’amata signorina Silvani, diventata una delle maschere più divertenti e seducenti che lei abbia mai creato. Le sue opere teatrali sono popolate da donne coraggiose e umane, la Mazzamauro dimostra come, in questa aspra e difficile vita, la donna sia tutt’altro che sesso debole, come in questo suo ultimo spettacolo, che sta portando in giro per l’Italia, Nuda e Cruda, che si avvicina ai temi e alle lotte quotidiane dei diversi, quello che la gente crede sia la minoranza abietta.
Lo spettacolo Nuda e Cruda è diventato anche un libro, uscito a gennaio, per la Diamond Editrice…
«Non ho velleità di scrittrice, scrivo ciò che ritengo giusto, provocando delle emozioni nella gente, con i silenzi e le parole giuste. Non è un romanzo, un dramma o una commedia, è un insieme di emozioni, e il teatro significa soprattutto questo, dare emozioni e provarle, altrimenti è inutile farlo. Oltre al testo dello spettacolo teatrale, nel libro c’è un’intervista esclusiva fattami da Simone Di Matteo e diverse foto di scena a cura di Pino Miraglia.
Non è il primo libro che esce, ho scritto anche uno spettacolo sulla Magnani, molto bello. Non ho imitato la Magnani, per carità, ognuno ha la sua storia, io non amo mai imitare nessuno, però parallelamente ho raccontato, anche se in condizione diverse, una da Oscar e l’altra da teatrante, la condizione di due donne che atipicamente hanno forse vinto, chi in un modo, chi in un altro. La storia dolorosa di vincere attraverso l’atipicità è come la diversità, l’omosessualità, io sono un’atipica, purtroppo, sono soltanto brutta, vorrei essere negra, lo dico apposta, invece di nera, vorrei essere gay e, vorrei andarlo a urlare per tutti i vicoli delle città, sotto le nuvole che sono le mie comete di giorno. Vorrei fare questo, ma purtroppo sono soltanto brutta, allora io sfrutto la mia atipicità. Non è che il termine brutta lo metto in bocca agli imbecilli, ho imparato a considerare e a fare considerare agli altri la mia atipicità, come un altro modo di essere bella.»
…e nello spettacolo di Nuda e cruda cosa succede?
«All’inizio giocherò con il pubblico, prendendo in giro me stessa, giocando e raccontando metto a proprio agio il pubblico e, a poco a poco lo prendo per mano e, lo porto nel teatro come intendo io, scivolando in argomenti di attualità o che, nel nostro intimo, non abbiamo mai avuto il coraggio di affrontare pubblicamente. Partendo dal mio senso di fragilità, come donna atipica che ha dovuto conquistare, attraverso una condizione di popolarità, datomi dalla signorina Silvani, racconto come sono arrivata alla Silvani, il giorno del provino con Luciano Salce, l’incontro con il truccatore, di una comicità struggente, l’incontro con il parrucchiere, con la sarta, l’incontro terrificante con una comparsa. Tutto questo che per un’altra donna, potrebbe essere lo sconforto della solitudine, diventa vittoria da parte mia, quindi le donne atipiche o comunque non bellissime, stanno dalla mia parte.»
Uno spettacolo tutto da ridere…
«Non è soltanto da ridere, la gente si aspetta sempre da me la comicità, che palle! Detesto gli spettacoli tutti da ridere, mi annoiano, mi rendono ferme le mascelle, non mi arrivano al cuore e, soprattutto al cervello. Mi piacciono i contrasti, passo da un personaggio tutto da ridere, vittima della violenza televisiva, per poi improvvisamente dare un cazzotto nello stomaco alla gente, con un monologo dedicato alla madre di Melania Rea, così come a tutte le madri che purtroppo hanno avuto il massacro delle figlie e delle donne, quindi un tema attualissimo, dopo che la gente ha riso tanto, il pubblico rimane perplesso, chiedendosi, ma che stiamo vedendo?
Non è soltanto il grottesco a vincere in televisione, ma certe interviste di “giornaliste” che massacrano alcune donne già massacrate dalla morte delle figlie, dalla morte dall’uccisione delle donne, e io mi chiedo sempre, come si fa, dopo che ti hanno massacrato una figlia, uccisa, a vivere il quotidiano. “La spesa la devi fare? Perché ci sono altri da amare? Devi mangiare? Devi dormire, anche se con brutti sogni? Devi parlare con gli altri, anche senza ascoltarli?” Non riesco a darmi una risposta quando mi chiedo: Mio Dio, se io fossi lei? La vita non lo consente, ma lo consente il teatro di dare risposte a queste domande.»
.. ma anche affollato di personaggi.
«Come dicevo, passo da un personaggio da ridere, per poi dare un cazzotto nello stomaco e viceversa, passo dalla donna che recepisce buffamente, perché è una cretina, l’abbandono da parte dell’amante, quindi la gente ride e poi inaspettatamente, parlo del cancro, ma non ne parlo attribuendolo al pubblico o genericamente agli altri, ma a me stessa. Entro e dico cancro, non è il mio segno zodiacale, il mio è sagittario, ma io non ho il sagittario, ho il cancro. E vedo la gente inizialmente inorridita, perché è una parola che, giustamente, fa paura, fa terrore, perché ancora non si è trovato il modo di combatterlo fino in fondo, però nello spettacolo viene comunque trattato con leggerezza, non con superficialità bada bene, quindi c’è questo rapporto tra me e la morte, che tento di allontanare, a prenderla per il culo, e dire, senti, ti voglio fare una proposta, siccome vedo che tu lavori sempre tanto per portare tante persone nell’aldilà, alla fine, a forza di portarle nell’aldilà, si riempirà pure l’eternità, allora che fai? Mi riporti giù? A me questo casino non piace, muori e vai su, poi ritorni giù, meglio che io rimanga qui.»
Pensavo si fosse stufata di parlare sempre della signorina Silvani, presente in questo spettacolo…
«Oramai è diventata una maschera teatrale non più cinematografica, perché l’ho schiaffata in palcoscenico, lei ha sfruttato me per vent’anni e io adesso sfrutto lei, spero per altri vent’anni.
Partendo dalla mia condizione di donna atipica, racconto tutte le mie sofferenze, da bambina, fino da adulta, sempre comicamente, in modo, che la gente sale subito in palcoscenico. Ne ho sofferto molto, finché non ho imparato a mostrare la forza struggente della donna atipica, finché non imparato a vivere sola come un despota, come un’imperatrice delle brutte misure, e questo mi ha dato la possibilità di “vincere” con la Silvani, perché le attrici cosiddette belle, avrebbero dovuto recitare la parte della Silvani, io sono così, e, non ho fatto altro che raccontarla, ovviamente, esasperando il personaggio, perché se voglio posso anche trasformarmi in una donna bellissima, questa è la forza del teatro.»
Uno spettacolo dove lei praticamente è sempre presente…
«Sto sempre in scena, mi piace il massacro, mi piace che la gente abbassi il pollice o lo alzi, secondo quello che pensa di fronte alla mia fatica e alla loro fatica, perché essere pubblico è faticoso.»
Qual è il punto di partenza quando scrive una storia, un testo, qual è il primo territorio che individua?
«Ho avuto un grande amore per la lettura, fin da quando ho imparato a leggere. Devo a mia madre questo, donna molto intelligente che ha subito sospettando che, in me, ci fosse un demone terrificante, che si sarebbe manifestato in questo modo, e ha tentato di coltivare e alimentare quello che era il mio desiderio di conoscenza. Amando molto la lettura e amando molto pensare, non voglio far finta di essere un genio, io credo che, qualsiasi persona, subisca il fascino del pensiero e che ha, stando da sola. Pensare alimenta la conoscenza di noi stessi, non voglio dimostrare niente, ma ho questo difetto, mi piace pensare. È chiaro che il pensiero, non essendo dominato ma frutto di un muscolo come il cervello, si muove in grande libertà, e scorre da un argomento all’altro, e molto spesso, come nel caso di questo spettacolo, scorrendo trova adesione tra un argomento e l’altro.
Spontaneamente avvengono le cose e fortunatamente, questo sì, ho il gusto dell’ironia, che ho coltivato attraverso l’autoironia. Mi sono guardata allo specchio, appena ho potuto e l’autoironia è nata con grande spontaneità. Siccome non sono soltanto io ad essere degna di ironia guardandomi allo specchio, ma tutto quello che ci circonda, basta spostare leggermente il filo sottile che divide il dramma dalla comicità e tutto viene spontaneo. La conduzione del pensiero, la scrittura, nel caso mio, è il voler raccontare al pubblico le cose che mi colpiscono e che penso colpiscono loro.»
Come sceglie la musica per i suoi spettacoli, quali affinità debbono avere con la storia?
«Avvengono all’improvviso, per esempio, io non conoscevo personalmente Amedeo Minghi, e l’ho conosciuto quando abbiamo partecipato tutt’e due al Premio Charlot a Salerno, abbiamo chiacchierato in camerino molto piacevolmente e, all’improvviso, per stima e per effetto simpatia, gli ho chiesto di fare le musiche per questo spettacolo, e, lui, con molta naturalezza, ha accettato volentieri.
Io non sono capace di scrivere un testo di una canzone, non ci ho mai provato, così, essendo Minghi un grande cantautore, ho lasciato a lui tutto lo spazio che voleva, per scrivermi sia la musica che le parole, e sono venute fuori delle cose stupende, sono felicissima di questo.»
Nei suoi testi teatrali c’è qualcosa in cui si è limitata, dove non ha osato per la paura di qualche censura?
«No, la cosa stupenda che, in questo tipo di spettacolo, ho osato portare un altro argomento fino in fondo quello dell’omosessualità. Partendo dal concetto di diversità, dopo aver parlato della figlia massacrata e uccisa, dico, “l’amore con la ferocia è diversità, ma non è amore, però ci sono tanti saggi, sicuramente più giusti di me, sicuramente più giusti di voi, che ci vogliono far credere che questa diversità essendo malata, va compresa e non va punita”, ovviamente parlo dei giudici, che non condannano mai nessuno, “però sono gli stessi, certamente più saggi, più sani e più giusti di me e di voi, che poi con certe altre diversità si erigono a saggi per eccellenza e cominciano a urlare, negri, gay, brutti, che cazzo di società è questa, meno male che c’è la normalità, anche se a me la normalità fa venire sempre in mente quella dell’intestino, e allora, a me piacerebbe andare da questi saggi sicuramente più giusti di me, e di voi, e gridargli in faccia, scusate l’autocitazione fantozziana che sono delle merdacce schifose!” A questo punto mi giro indietro e m’infilo una parrucca, metà ragazzo metà madre, e comincio il dialogo di un ragazzo che confessa alla madre di essere diverso, e la madre che, stronzamente, non ne parla, sente che il figlio desidera comprensione, ma non è un argomento facile da affrontare soprattutto da parte di una madre, perchè si preoccupa soltanto di quello che diranno le amiche, e quando lei dice, quasi piangendo, “ah! Un figlio diverso, un figlio diverso, che dolore”, il figlio risponde “non sono io che sono diverso mamma, sono gli altri che sono troppo uguali”. Dialogo che poi sconfina con una canzone su un omosessuale, bellissima.»
Non pensa che trattando più e più argomenti da riflettere qualcuno vada disperso e che il pubblico dimentichi…
«Non è così, questo è il mio modo di fare teatro, non è detto che sia in assoluto il migliore, o l’unico modo. Ognuno lo fa, secondo la propria personalità, i propri gusti, la propria cultura, insomma, del proprio modo di stare sul palcoscenico. Ho fatto miliardi di commedie e, mi sono sempre trovata, durante la rappresentazione, in vari punti, come distesa su un lago non sapendo più nuotare, è una sensazione terribile, davvero, il morto a galla, morto nel senso teatrale e drammaturgico della parola, morto perché non puoi avere sempre l’attenzione del pubblico, istante per istante, e non mi piace fare teatro così, io voglio l’attenzione del pubblico, istante per istante, se no è inutile che io sto lassù, e che la gente sta laggiù, è meglio allora vedere la televisione, insomma, vabbè, lasciamo perdere.»
Ha mai pensato di scrivere un romanzo o di scrivere un soggetto per un film?
«Tocchi con mano un argomento molto vivo e vivace, il mio editore vuole assolutamente che io scriva un romanzo, perché lui dice che io ne sarei capace, ma io non lo credo, altrimenti tutto quello che ho detto sarebbe una contraddizione. Il romanzo ha bisogno di esercizio del romanzo, io ho esercizio nel teatro, o esercizio di conduzione di personaggi, Nuda e cruda, è un libro, ma non è un romanzo, è un libro di emozione, se le vuoi provare. Ma un romanzo è impegnativo, ha bisogno di una storia, che sia un’invenzione, non mi va di fare la solita storia d’amore, che me ne frega, non gliene frega niente manco più alla gente.»
Dopo Nuda e cruda cosa succederà?
«A settembre farò un film, di cui non ne parlo per scaramanzia. Siccome ho con il regista un bel rapporto solare e amichevole, l’ho portato a vedere i miei spettacoli, per raccontargli come sono e come sono al meglio, e, quindi, posso spingere il regista sulla mia strada, che è quella di raccontare determinati personaggi, dove riesco meglio, ma non a inventarmi una sceneggiatura, non ne sono capace o non m’interessa forse. Io sono fondamentalmente un’attrice.»
ANNA MAZZAMAURO
NUDA E CRUDA
di e con Anna Mazzamauro
e con
Nicola Mancini
Lidia Norma
Musiche originali di AMEDEO MINGHI
eseguite dai Màs en TANGO
Fisarmonica e Pianoforte – Salvatore Cauteruccio
Contrabbasso – Sasà Calabrese
Violino – Andrea De Martino
Costumi Graziella Pera Scene Lucia Giorgio
Disegno Luci Francesco dell’Elba
Fonico Ezra Capogna Tecnico Luci Cristian Perria
Macchinista di scena Gennaro Cerlino
Sarta di scena Lilly Norma
Costruzioni Scenografie Renato Ostorero
Sartoria Teatrale D’Inzillo Sweet Mode
Coreografie Giovanna Gallorini
Regia LIVIO GALASSI
Produzione E20inscena di Stefano Mascagni