La Promo Music di Marcello Corvino presenta, in occasione dei venticinque anni dal debutto, Cabaret Yiddish, di e con Moni Ovadia, al Teatro Nuovo di Napoli (repliche fino a dom. 16 Marzo).
Cabaret Yiddish è lo spettacolo che ha reso celebre Moni Ovadia presso il grande pubblico, e da cui è derivato l’altrettanto fortunato Oylem Goylem. Come il titolo suggerisce, si tratta di uno spettacolo in forma di cabaret, che alterna gustose “storielle” di vita e riflessioni satiriche sulla famiglia e la società ebraiche, il razzismo, il rapporto col divino, con musiche e canti e danze, eseguite dal vivo. La lingua di questi canti è lo Yiddish, uno strano miscuglio di tedesco, polacco, rumeno e lingue slave, parlato dagli ebrei stanziatisi nella Mitteleuropa. La musica che li accompagna è quella Klezmer, sviluppatasi in quell’area geografica – di cui Moni Ovadia è originario – durante il XVI secolo, che si avvale di Kley e Zemer, ossia violini (ed archi in genere) e clarinetto (qui c’è anche la fisarmonica). La storia è quella eterna dell’Ebreo Errante, che dai tempi di Mosè ad oggi ha vissuto la condizione dell’esilio, solo a volte riuscendo ad arricchirsi, quasi sempre guardato con diffidenza, se non con ostilità, e che – proprio perché spogliato dei suoi beni materiali, affettivi e spirituali – è riuscito a creare, ex novo, una grande cultura fatta di lingua, tradizioni, rituali comuni a gruppi emigrati in quattro continenti diversi. L’atteggiamento con cui egli fa fronte a tante difficoltà è spesso l’autoironia, con cui esorcizza l’altrui denigrazione. Come dice lo stesso Ovadia, in apertura: “La differenza tra una barzelletta antisemita e una barzelletta yiddish? La barzelletta yiddish è una barzelletta antisemita raccontata da un ebreo”. L’atteggiamento con cui fa i conti con tragedie come la shoà è uno sguardo al futuro. Ancora Ovadia: “La cultura ebraica vieta categoricamente il culto dei morti. Il miglior modo per rendergli onore è costruire un futuro migliore”.
Tutto questo e molto altro ancora si trova in Cabaret Yiddish, in cui Moni Ovadia ci conduce per mano all’interno di una Comunità di cui spesso si conoscono solo i caratteri esteriori o le tragedie; una conoscenza superficiale che è causa di tanti pregiudizi, negativi e positivi, come ci tiene a specificare. E lo fa con le armi dell’ironia e della satira di costume, che gli sono proprie e che abbiamo imparato a conoscere. E alla fine scopriamo che, liberati dai pregiudizi, si può anche ridere degli Ebrei, come facciamo di noi stessi, perché “sono solo uomini”. Ad accompagnare Ovadia in questo viaggio, i suoi amici di sempre: Maurizio Dehò al violino, Paolo Rocca al clarinetto, Albert Florian Mihai alla fisarmonica, Luca Garlaschelli al contrabbasso. Una band ben collaudata che con ritmo e ironia coinvolge il pubblico e lo emoziona.
Da vedere (o rivedere).