C’è una blues band che sta entusiasmando gli appassionati del genere, perché è viva e vegeta nel 2014 ma ha un piede nell’altro secolo. E non sono dilettanti da pub di provincia: i componenti di Alex Usai Blues Band sono dei professionisti di alto livello che si sono uniti e per la prima volta escono con un’incisione disponibile al pubblico. Blues Tale (Favola Blues) è il loro primo album, una sintesi di virtuosismi e intuizioni compositive in bilico tra blues e jazz, con un occhio ai padri della musica popolare, come i Beatles (di cui rifanno All You Need Is Love) e Anthony Wilson (presente con lo standard celebre Britta’s Blues).
I componenti (Alex Usai chitarra, voce, Alberto Gurrisi, hammond, Ivo Barbieri, basso, voce, Martino Malacrida, batteria) hanno alle spalle esperienze di grande prestigio. A cominciare dal capobanda, Alex, che è anche molto disinvolto e piacevole cantastorie dal vivo. Il cantante chitarrista ha vinto premi nazionali e aperto concerti per star come Chaka Khan e Dee Dee Bridgewater. Con Gurrisi, che poi ha voluto nella band) si era fatto conoscere nella band dell’armonicista Sugar Blue. Usai, che ha anche collaborato con l’incarnazione più recente dei Dik Dik, ha dato un contributo da marchio di fabbrica alle composizioni del gruppo: blues Tale, il primo singolo, è una presentazione dei “non generi specifici”, dice lui, che rappresentano i gusti dei componenti. No More Sunny Days For Me invece, la seconda canzone del disco, ha un richiamo alla vecchia America ma riesce nell’attualizzazione. C’è poco di Italia, vero, in quello che fanno, ma a pochi riesce di farlo così bene nel nostro paese. C’è una tradizione blues da noi da poterla definire “scuola”? A giudicare dal calore con cui Alex Usai e soci sono stati accolti nel tempio del jazz italiano, il Blue Note di Milano, si direbbe di sì. Tanti appassionati, molti studenti che cercano di carpire tecnicismi e inventiva dai quattro strumentisti sul palco. “Una sorpresa anche per noi”, confessa Usai. Che con il disco tenta anche l’approccio radiofonico al progetto, visto che la ballad I’m Not Wide Awake non stonerebbe affatto nei raffinati programmi notturni dei nostri palinsesti. Più probabilmente avranno prima il riconoscimento all’estero. E poi noi, tutti qui a tesserne le lodi, dopo.