Con intelligenza e semplice fantasia, semplice per lui naturalmente, Arturo Brachetti, passa da trionfo a trionfo, ultimo di innumerevoli riconoscimenti internazionali è la statua di cera che il museo parigino Grévin gli ha dedicato a dicembre scorso. Il più veloce trasformista al mondo è approdato in Italia con un nuovo strabiliante spettacolo, Brachetti, Che sorpresa! e, ancora una volta catapulterà il pubblico nell’atmosfera magica ed emozionante del suo immenso mondo, pennellato di ironia e delicata fanciullezza, con i suoi giochi illusionistici veri o falsi il maestro Brachetti susciterà una gioia immensa e, riuscirà a far dimenticare gli “orrori” della vita, almeno per qualche ora.
Brachetti, Che Sorpresa! Dove ci porterà questa volta la magia di Arturo?
«In realtà il titolo più giusto sarebbe, Lost and Found. Sono partito da un’immagine vista su internet, un deposito di valigie dimenticate o perse nei viaggi aerei, cattedrali di valigie impilate, appartenenti a chissà quali persone e, mi sono detto, qui ci sono i ricordi e i sogni di centinaia, migliaia di persone, e, lo spettacolo si svolge in questo deposito di valigie dimenticate, un po’ universale, dove io, all’inizio dello spettacolo, arrivo paracadutato, e, aprendo o chiudendo le valigie, riporto alla vita dei sogni, incontro dei personaggi stranissimi che abitano questo luogo che, come me, sono alla ricerca della propria valigia.»
Con cosa ci sorprenderai?
«Farò dei pezzi di trasformazione e ombre cinesi, poi ad esempio, trovo la valigia di Tim Burton e farò un pezzo dedicato a lui con la sabbia. Ci saranno parecchi numeri, anche poetici, volo addirittura, quindi, metà dello spettacolo praticamente lo faccio io, mentre l’altra metà è fatta da colleghi bravissimi. Luca Bono, che fa un pezzo sulle colombe e altro, un duo Luca & Tino che fanno diversi personaggi comici: spagnoli, russi e Francesco Scimemi, il comico più ruspante, che è uno che ha perso alla valigia della nonna, che ha costantemente fame e che alla fine si vuol mangiare addirittura uno spettatore tra il pubblico, perché non ne può più.»
Che impronta ha questo spettacolo?
«Se dovessi descrivere lo spettacolo direi che è comico, magico e surrealista. Magico perché ci sono tantissimi momenti di magia, gente che sparisce, che appare, giochi di prestigio e così via. Comico perché spesso la magia viene usata per far ridere. Surrealista perché si svolge in un luogo surrealista.»
Come sarà la scenografia?
«Per le scenografie usiamo un sistema di video mapping, abbastanza innovativo portato in teatro. Lo stesso usato sui monumenti nelle piazze pubbliche con cui si proietta sull’architettura e può diventare un acquario o un muro che si sgretola, qualsiasi cosa. Noi abbiamo fatto un’enorme scenografia di valigie impilate grigie, sulle quali vengono proiettate le stesse valigie, ma ad ogni scena saranno nuove, vecchie altre sono dei manifesti, cambia sempre d’atmosfera.»
Hai introdotto per la prima volta anche il sand painting?
«Da quasi due anni ho imparato questa tecnica, non siamo ancora in tanti a praticarla ed è molto sorprendente per il pubblico che non l’ha mai visto, e anche per me che lo faccio. Alla gente, a tutti, piace quando con poco, si fa molto. È vero, la gente è impressionata dalle grandi magie, dalle grandi scenografie, ma quando da una cosa molto minimalistica si riesce a stimolare la fantasia, a risvegliare il bambino che è in noi, è molto più impressionante.»
Hai girato tutto il mondo per i tuoi spettacoli, hai carpito qualche nuovo trucco o esercizio di magia?
«No, per quanto riguarda la trasformazione sono stato il primo al mondo. Nel 1979 infatti sono stato chiamato a Parigi proprio perché ero l’unico al mondo a fare un numero di trasformazioni rapide. Molti sono quelli che mi copiano, per loro sono un guru, sono io che continuo a fare degli esperimenti per affinare le tecniche. Per la magia e i trucchi mi guardo intorno spesso, tra l’altro io sono il giudice alla tv francese di un programma che si chiama The Best, questa è già la seconda stagione, quindi, vedo tantissimi professionisti, contorsionisti, acrobati, mimi, ballerini, illusionisti e così mi rinfresco un po’ le idee su alcuni trucchi nuovi, ma l’importante a volte non è proprio il trucco, è il software che sta dietro, cioè l’emozione. Per mia fortuna ho delle idee che sono molto più emozionanti di alcuni trucchi che, magari, molti miei colleghi non usano più e loro stessi sono molto del fatto che riesca a crearli diversamente. La magia è creata dalla messa in scena e non dal trucco in sé, perché la gente sinceramente ormai li conosce, basta andare su internet.»
Quanta fatica costa costruire un nuovo spettacolo?
«Fatica ce n’è molta, perché ogni anno devo inventarmi uno spettacolo nuovo per l’Italia e uno per la Francia, siamo stati quattro mesi a Parigi con uno spettacolo diverso da questo, abbiamo finito il 20 gennaio e subito mi sono messo a creare questo italiano. La fatica è soprattutto mentale, per inventare cose nuove, che siano all’avanguardia, che sembrino avanti di dieci anni rispetto a ciò che c’è in giro, questa è la grande fatica. Passo alcuni periodi dell’anno con grandi ansie e tormenti, perché magari l’idea giusta non viene, o non è in piedi come volevo, questo è normale, soprattutto in quei spettacoli di varietà dove non c’è Shakespeare sotto, perché se tu fai un testo di teatro, dove c’è un autore e la storia funziona, allora, anche se l’attore ha mangiato i peperoni alla fine l’Amleto muore, e via. Qui non c’è mai la rete, è basato sulla bravura degli interpreti e basta, quindi, molto più stuzzicante, molto più spettacolare, però è difficile trovare anche l’alchimia giusta, gli ingredienti sono tanti, basta saperli dosare.»
Come si pone la magia di Arturo a una vita fatta di amarezze e disillusioni.
«In tutti i periodi di grande depressione ci sono stati i più grandi successi magici della storia, fine Ottocento o come Houdini negli anni venti. Perché quando la gente perde fiducia in cose più reali e concrete, come possono essere il lavoro, la sicurezza del posto, comincia a sognare molto di più, e inizia a dare più spazio ai sogni, alle speranze delle cose inventate, sapere di potere uscire da casa e per due ore, tu sei su un altro pianeta con possibilità magiche, dove tutto può succedere magicamente, anche in maniera ottimista e positiva, è sicuramente una gran bella consolazione. Il successo dello spettacolo è anche dato dal fatto che, entri in un teatro e, hai varcato una specie di sala di terapia psicologica di buon’umore e soprattutto di sogno, il problema è che il sogno costa molto, qui in Italia gli spettacoli di sogno se ne vedono poco perché costano, costa portarli in giro, di scenografie, di luci, di effetti speciali…»
Quante persone ci sono ad aiutarti sul palco?
«Ce ne sono due, per quanto mi riguarda per i costumi, le parrucche, per i numeri di cambiamenti, ad esempio, faccio un pezzo che si svolge in un saloon, dove sei personaggi si rincorrono, bandito, sceriffo, barman, e sono 21 cambiamenti in 4 minuti, e lì ovviamente, io e gli altri miei due assistenti, ci diamo grandi gomitate, ci facciamo del male, ma questo è il nostro lavoro.»
È la prima volta che collabori con altri artisti?
«Non è la prima volta, perché Luca Bono e il duo Luca & Tino sono con me a Parigi nell’altro spettacolo, Comedy Majik Cho. Con Francesco Scimemi ci conosciamo da vent’anni. Io ho fatto spesso uno spettacolo che si chiamava Brachetti & Friends, dove ci sono numeri internazionali che vengono da tutto il mondo. Per fortuna, nel mondo ho una buona reputazione, da due mesi a Parigi c’è una statua di cera al museo delle cere, ed è una statua che cambia costume ogni venti secondi, quindi circa mille volte al giorno. All’estero sono un punto di riferimento, perché spesso lo sanno che prendo il loro numero, lo stravolgo, gli cambio la musica, l’ambientazione, per dargli una valenza più teatrale, più intellettuale, più toccante e più nuova.»
Questa tua follia artistica com’è nata? Per evasione, per gioco…
«Avendomi messo in seminario per sei anni, all’età di undici anni, la mia fortuna è stata di conoscere un prete, Don Mantelli, che a quattordici anni mi insegnò i giochi di prestigio, e divenni a quell’età l’assistente del prete mago, che mi faceva tagliare la testa e tutte quelle cose lì, molte educative stando in seminario, e a sedici anni, essendo un timido, creai il mio primo numero di trasformazione, proprio per avere una maschera per andare in scena, quindi, la maschera mi serviva per andare a fare i miei numeri per le feste del collegio.»
C’è qualche messaggio che vuoi mandare attraverso i tuoi spettacoli?
«Uno dei messaggi più comuni è quello che, avendo la sindrome di Peter Pan, ed essendo contagiosa, il ritorno all’infanzia, il ritorno a quella innocenza dove si può credere anche alla magia. Il grave dilemma è la realtà immaginata, quella che ci rende più felici. Cioè una bugia ci fa sentire molto meglio. È meglio di una grossa verità, che ci fa sentire molto male. Possiamo parlare dell’illusione per ore e l’illusione non è solo una forma di spettacolo, o di rapporto umano, è nella realtà un bisogno, tutti ci inventiamo delle cose per star meglio, un marito che fa finta che la moglie non lo tradisce, la madre di un figlio gay che si sposa ogni mese, da quello che fa finta di avere i soldi, o di quello che fa finta di avere tre fidanzate e non ne ha neanche una, è pieno di queste persone, il 90% non dice nemmeno a se stessi la verità, quindi inventa una piccola illusione, per far star meglio la famiglia o per salvare l’apparenza, c’è un’illusione costante in tutti gli esseri umani che debbono sempre crearsi un mondo parallelo, meno male, ognuno di noi ha la possibilità di vivere diverse vite, e di sopravvivere e, siccome gli ottanta anni che passiamo su questo pianeta, se ci va bene, sono spesso costellati di strazi e di cose abbastanza tristi, il bisogno della magia, dell’illusione dà la speranza che c’è una vita altrove, in un’altra dimensione o, parallelamente a questa, migliore. La telepatia, parapsicologia, cucchiaini che si piegano sono tutte finzioni che servono a noi per stare meglio, che diventano realtà perché ci crediamo.»
In uno spettacolo, che importanza dai alla musica?
«Importantissima, spesso le scelgo io, o quando uno ha un numero giusto musicalmente lo lascio com’è, se entra nei parametri dello spettacolo che sto presentando. Ma la musica è importantissima perché suscita emozioni molto dirette, ho ripreso il numero di Elephant man, ho rifatto proprio delle colonne sonore, quella di Elephant man l’ho rifatta proprio da poco, perché non mi piaceva più la versione precedente, ho montato la musica come se noi stessimo assistendo a una scena di un film, ha tutta un’altra visione rispetto a dieci anni fa, quando altre musiche suscitavano emozioni che ora non suscitano più, meglio trovarne altre.»
C’è qualcosa che dici o fai per mantenere la calma prima di salire sul palco?
«Ma non ho paura del palco, quando so cosa fare, quando, invece, ci sono dei problemi tecnici, non avendo la terra sotto i piedi, mi viene un po’ d’ansia, però alla fine mi dico è solo un lavoro, anche se diventa parte della mia vita, non bisogna morire per un lavoro.»
Hai qualche hobby particolare?
«No, il mio hobby è il mio lavoro. Quando ho tempo vado al cinema, a teatro, vado in giro a trovare cose che mi servono per il mio lavoro, navigo su internet, passo almeno due o tre ore su internet per lavoro o per vedere cosa succede in giro. Ho la mia casa di Torino, che oramai è una casa magica perché lo fatta fare con diversi trabocchetti, la libreria che gira, l’acqua luminosa che esce dai rubinetti, piene di trappole e cose divertenti.»
Come un covo di Diabolik…
«Si, infatti i miei amici o anche i giornalisti, ho fatto per la Repubblica un grande articolo proprio un mese fa, rimangono molto sorpresi, quando sarò vecchio posso far questo, faccio fare il giro della casa chiedendo 15 euro con il thé, esentasse. Comunque, ad alcuni miei amici, fa un po’ paura, io mi sono abituato, anche quando sono al telefono devo tirar su la bottiglia di ketchup, perché è un telefono, ma agli altri fa un po’ strano!»
Come ti sei mascherato a carnevale?
«A carnevale non mi maschero, lo faccio già spesso, mi maschero spesso durante l’anno, anche al di fuori del mio lavoro, per esempio mi travesto da prete, volentieri, vado in giro a prendere il caffè, in panetteria, i miei vicini mi conoscono, si divertono, oppure, mi travesto per andare in discoteca, ho una parrucca bellissima con capelli lunghi, vestito da rockettaro, frikkettone, così posso andare in discoteca senza avere delle foto poi su face book. Ho due tre “looks” nella vita, ne ho un altro da professore di filosofia, cinquantenne, per andare a teatro e, non essere obbligato ad andare a salutare i colleghi, soprattutto quando hanno fatto una cagata, e andare a dire, ah! bellissimo, vado a teatro così, nessuno mi vede, nessuno mi riconosce, esco ed è finita lì. Faccio questo quando non faccio gli spettacoli e, magari mi annoio un po’…»
Sembra che fra Fregoli e Brachetti non ci sia mai stato nessun altro trasformista. Ma quando hai iniziato, conoscevi già l’arte di Fregoli?
«Non c’è stato nessuno, Fregoli ha finito di lavorare nel ’22, poi ha avuto qualche imitatore. Il prete mago mi parlo di Fregoli, quando cominciai a trasformarmi, facevo spettacoli dove mi presentavo e avevo un costume, ecco a voi il signor Brachetti, e poi andavo fuori scena, prendevo un altro vestito e facevo il pezzo, mi auto-presentavo, e, lui mi disse che cinquant’anni fa c’era un certo Leopoldo Fregoli che faceva questo genere di cose. Mi regalò un libro, si chiamava Fregoli racconta Fregoli, non c’erano i trucchi di Fregoli, ma la vita romanzata di questo straordinario artista e da lì ho cominciato a sognare. Ma io facevo già le trasformazioni, prima di conoscere Fregoli. Se uno credesse nella reincarnazione, io e lui abbiamo tante cose in parallelo, è impressionante, lui sbarcò a Parigi il 20 gennaio del 1900, ed ebbe un successo incredibile, e la mia prima a Parigi è stata il 20 gennaio 2000, un mio collega mi portò il manifesto e, mi disse,, tu che non credi nella parapsicologie e in tutte queste cose.»
Prossime date del Brachetti, Che Sorpresa!
Napoli, da venerdì 14 a domenica 23 marzo
Teatro Augusteo, Piazza Duca d’Aosta 263 – Napoli
Ancona, martedì 25 e mercoledì 26 marzo
Teatro delle Muse, Piazza della Repubblica – Ancona
Bari, da venerdì 28 a domenica 30 marzo
Teatro Team, Piazza Umberto, 35 – Bari
Bolzano, martedì 1 e mercoledì 2 aprile
Teatro Comunale, Piazza Verdi 40 – Bolzano
Padova, venerdì 4 e sabato 5 aprile
Gran Teatro Geox, Via Giuseppe Tassinari, 1 – Padova
Bergamo, mercoledì 9 e giovedì 10 aprile
Teatro Cregerg, Via Pizzo della Presolana – Bergamo
Varese, sabato 12 e domenica 13 aprile
Teatro Comunale, Piazza della Repubblica – Varese
Brescia, martedì 15 e mercoledì 16 aprile
Pala Banco di Brescia, Via San Zeno, 168 – Brescia