In scena un solo uomo, un uomo solo. Luci spente, spazi vuoti e bui. Un luogo senza tempo, una miriade di fili legati alla sua testa. Fili-conduttori, fili manipolatori, fili metallici, fili-prigione. Nessuna via di fuga.
Nessuno spazio per la libertà, ammesso che la parola libertà significhi ancora qualcosa di preciso.
Inizia così il viaggio attraverso la prima rappresentazione teatrale in assoluto di “Arancia Meccanica”, questo l’incipit dell’incubo di Alex DeLarge.
Lo spettatore entra immediatamente nella sua testa, il pubblico stesso è Alex.
Dalla prima scena si è subito catapultati in un mondo dove non esiste una vera e propria distinzione tra bene e male, in un universo in cui ad ogni azione corrisponde una reazione devastante.
Sembra di essere in un sogno, in realtà si sta vivendo un incubo. Un incubo in cui entra in gioco anche la Bibbia e il Vecchio Testamento che ci ricorda delle vittime e dei carnefici e che, versetto dopo versetto, rammenta il famoso “occhio per occhio, dente per dente”.
Complici di tutto ciò il Nadsat, il linguaggio utilizzato dai drughi e, sopra ogni cosa, le musiche strazianti curate da Morgan. Con “Arancia Meccanica” si vivono 100 minuti di pura ultra-violenza, e ogni minuto è portato all’esasperazione grazie a un incredibile rallenty.
Si arriva a simpatizzare per il protagonista, a soffrire e precipitare insieme a lui in un turbine travolgente di emozioni. Tutto avviene nel subconscio di Alex e anche in quello del pubblico. È possibile realizzare ciò che accade non solo attraverso la vista, ma soprattutto con l’udito: la musica è la coprotagonista di questo capolavoro.
Ludovico Van e l’intera colonna sonora attraversano la mente di Alex e quella degli spettatori, evocando immagini che riescono ad essere soggettive e oggettive allo stesso tempo, visioni personali e obiettive di una realtà così vicina a ognuno di noi.
Ciò che più affascina e spaventa di questa versione teatrale di Gabriele Russo, come era già successo con la versione cinematografica di Kubrick, è indubbiamente la fortissima contemporaneità. Gli interrogativi del drugo sono i nostri, i suoi tentativi di affermazione della propria identità corrispondono profondamente a quelli di tutti. La sua non libertà di scelta, infine, ricorda quanto è facile al giorno d’oggi trasformarsi in “Arance Meccaniche”.
Un capolavoro così intenso e tangibile che risulta difficile da sintetizzare in “semplici parole”. Un’impresa che risulta ardua anche in Nadsat. Uno spettacolo folgorante. Un’occasione da non perdere.