I 99 Posse fanno finalmente tappa a Napoli con la data del tour “Curre Curre Guagliò 2.0”. Questa sera, infatti, al Teatro Bolivar di Napoli sarà possibile assistere a un concerto imperdibile. Dopo aver fatto su e giù per lo stivale il gruppo partenopeo approda finalmente nella città dove tutto è cominciato. In attesa di assistere a un concerto che ripercorrerà 20 anni di storia grazie alle tracce che sono da sempre la colonna sonora di tante generazioni, incontriamo Luca ‘O Zulù Persico per scambiare quattro chiacchiere pre soundcheck.
Vent’anni dal vostro primo album: cosa si prova a riproporre questo particolare repertorio dopo così tanto tempo?
«Avevamo da anni l’esigenza di riproporre questi brani, questo disco ingloba una serie di canzoni che continuiamo a suonare incessantemente a suonare nei nostri live fin da quando lo abbiamo registrato. Abbiamo aspettato il compleanno dell’album per metterci all’opera, ma era comunque nei nostri programmi da molto tempo.»
Una cosa che è impossibile non notare a qualsiasi vostro live è l’età media del vostro pubblico. Avete fatto la storia degli anni ’90, eppure questa sera, come tutte le altre sere vi ritroverete sotto il palco tantissimi ventenni, un venti che ricorre e vi rincorre …
«Hai perfettamente ragione: negli ultimi due anni abbiamo notato anche noi un abbassamento incredibile dell’età media dei partecipanti ai nostri concerti. Giovani e giovanissimi incuriositi si avvicinano facilmente al nostro mondo. Evidentemente questo è un forte segnale di disagio collettivo. Le nuove generazioni ne hanno fin sopra i capelli delle stupidaggini degli ultimi 20 anni.»
È quindi come se il tempo non fosse passato?
«Diciamo più che altro che la fase storica che stiamo vivendo adesso somiglia molto a quella della fine degli anni ’80. Risuonare questi brani rende il lavoro un disco trasversale. Curre Curre Guagliò va al di là delle mura e del tempo in cui è stato registrato e ciò è possibile anche grazie a tutte le collaborazioni presenti nel disco.»
Grazie a ogni singola collaborazione avete non solo riproposto un lavoro ventennale trasformandolo in assoluta novità, ma anche racchiuso più realtà e artisti in un unico album. Come sono nati i vari duetti?
«Il senso delle collaborazioni nasce dalla stessa visione del mondo. Nell’album abbiamo lavorato con Enzo Avitabile e i Bottari, con la Banda Bassotti e Paolo Rossi: tutti artisti che noi consideriamo come i nostri fratelli maggiori. Ancora, ci sono però Roy Paci, Samuel, Caparezza, Jovine, Clementino che sono invece nostri coetanei. Siamo cresciuti con tutti questi grandi musicisti, ma non avevamo mai avuto l’opportunità di condividere un pentagramma. Ecco che grazie a questo disco abbiamo chiuso un cerchio.»
Impossibile non chiedere a un gruppo socialmente impegnato come il vostro un parere sulla situazione dell’Angelo Mai di Roma…
«Se la legge non fosse drammatica, potremmo farci un sacco di risate. Non parlo solo di quella italiana, ma della giustizia occidentale in generale. Il caso dell’Angelo Mai è allucinante, accanirsi sui deboli, su uno spazio occupato che altrimenti sarebbe comunque abbandonato … non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.»
Domanda di tutt’altro genere: come avete reagito alla decisione di Jovine di partecipare a “The Voice”?
«Quando ce l’ha detto siamo rimasti di piombo, indubbiamente è stata una decisione che ci è parsa strana, ma poi gli abbiamo fatto gli auguri e dato il nostro sostegno. Adesso speriamo che vada avanti quanto più possibile. Specifico: non lo dico perché improvvisamente penso che questi programmi servano a creare i nuovi talenti della musica italiana, ma ritengo siano comunque un’opportunità per chi già fa il musicista di professione.
The Voice rispetto ad altri format privilegia chi fa già musica, contatta artisti che ha notato per lo più sul web. Ecco che già il fatto di essere notati da alcune persone specifiche del settore è diverso, con tutta la stima per chi arriva sul palco di un talent show dopo aver suonato solo nella sua cameretta.
Nel caso specifico di Valerio spero che questa decisione lo aiuti ad ampliare i suoi orizzonti.»
Con i proventi di questo nuovo album, proprio come per la prima di vent’anni fa finanzierete la riapertura di un asilo nido a Gaza che porterà il nome di Vittorio Arrigoni. Come mai questa scelta?
«È, come hai tu stessa specificato, la seconda volta che una band invia tutto il ricavato per un progetto. Vent’anni fa utilizzammo i guadagni per aprire una radio che qualche anno dopo purtroppo è fallita. Adesso abbiamo deciso di mandarli a Gaza per l’asilo in quanto per sostenere e investire nel migliore dei modi sul futuro bisogna partire dai bambini. Ci sentivamo un debito nei confronti di Vittorio che, a differenza nostra, è rimasto a Gaza fino alla fine mentre noi siamo andati e tornati da lì un paio di volte. Ecco che questo progetto ci sembrava il modo migliore per omaggiarlo e ricordarlo costantemente.»
Stasera siete a Napoli, poi il vostro tour continuerà. Le vostre date si stanno rilevando tutte sold out, così come anche il cd sta vendendo tantissimo. Vi aspettavate tutto questo successo?
«In realtà noi partiamo sempre aspettandoci una tragedia. Per ora è arrivata solo qualche critica, ma la maggior parte dei giornalisti e del pubblico non hanno avuto molto da ridire sul fatto che abbiamo manomesso il nostro capolavoro. Il tour sta andando benone e siamo piombati al secondo posto nelle vendite grazie al disco, che poi lavorando per più di 14 mesi è diventato un kolossal.
In uno dei 4 inediti ci siamo definiti depuratori che assumono veleni e sopravvivono solo per espellerli. Avevamo voglia di riproporci e di scrivere tanto. Ecco che si sente, traccia dopo traccia, che abbiamo tante cose nuove da dire anche se utilizziamo tanti vecchi pezzi per dirli. Il resto lasciamo che siano le persone a giudicarlo.»