La storia di Marco Sbarbati, il giovane cantautore che quest’inverno si è fatto conoscere con un bel singolo d’esordio, Backwards, è ormai nota agli appassionati di musica indipendente italiana. Nato nelle Marche ma trasferitosi a Bologna 7 anni fa, Sbarbati ha iniziato a suonare in strada cover e pezzi inediti. Fin quando è stato notato da Lucio Dalla che lo ha spronato a usare il suo talento per una carriera artistica. Poi è arrivata Caterina Caselli, il contratto con la Sugar. E ora esce il suo primo EP che porta il suo nome, con un lancio interessante. L’altra sera Marco Sbarbati era sul sagrato del Duomo di Milano per un concerto della Curia milanese mandato in diretta su Tv 2000.
Marco, come sei arrivato a cantare in una location così prestigiosa?
«È vero, è distante da quello che faccio abitualmente e che mi piace di più, il busking, cioè suonare per strada. Ma ho accettato l’invito che mi ha fatto Vittorio Grigolo, che è un tenore conosciuto anche all’estero. Abbiamo scelto di cantare Hallelujah di Leonard Cohen perché è un pezzo moderno che si adatta alla tematica della serata e che non è indirizzato solo ai credenti.»
Ti interessa la spiritualità?
«Non credo che nella musica debbano esserci schieramenti, è una canzone che mi è sempre piaciuta e sono contento di avere la possibilità di raggiungere tutti i tipi di pubblico. Non sono praticante assiduo ma sicuramente il tema mi è caro.»
Ora esce il tuo EP Marco Sbarbati: come è cambiata la tua vita da quando sei un artista professionista?
«In verità non è cambiata molto perché non ho raggiunto quel tipo di notorietà, che poi nemmeno mi interessa. Quando suono per strada può capitare che qualcuno si avvicini per dirmi che gli piace quello che sente, non molti si accorgono che sono io ad aver inciso Backwards, pensano che sia una cover in mezzo alle altre che faccio.»
Basterebbe un po’ di televisione per renderti riconoscibile…
«Ma non è quello che mi interessa. In tv ci vado se mi fanno suonare dal vivo. Ovviamente sono ambizioso, mi piacerebbe fare di questo mestiere la mia vita ma mi tengo pronto il piano b. Mi sono laureato in comunicazione pubblica e sociale due mesi fa. E mi rendo conto che a volte per avere una strada alcuni compromessi li devi raggiungere, non parlo di cose snaturanti, ma almeno di vincere la mia ritrosia e timidezza che naturalmente mi porta lontano da alcune scelte.»
Per questo continui a fare il “busker”?
«La cosa che mi piace di più nelle performance improvvisate per strada è che non ci sono filtri e abbatto il piedistallo che c’è quando l’artista si mette sul palco. Sono in mezzo alla gente, è più diretto il contatto con chi ti ascolta. Capita poi che mi dicano parole di incoraggiamento. Le persone già da tempo mi ringraziano per la mia musica, magari mi raccontano di se. “Stavo tornando in macchina dopo una giornata schifosa e la tua canzone mi ha risollevato”.»
Che situazioni descrivi nelle tue canzoni?
«Molte sono incentrate sui miei sentimenti che provavo quando da un piccolo paesino mi sono trasferito a Bologna, che non essendo comunque una metropoli, ha una dimensione che per me è stata difficile all’inizio. Se non fosse per la tecnologia, avrei fatto fatica a mantenere i contatti con gli affetti che più mi mancano. Ma è stato vitale per me trasferirmi in una realtà più grande, che inevitabilmente ti priva di qualcosa ma ti offre molto in cambio. Lo descrivo bene nel pezzo Ocean, dove il protagonista è una sorta di pesce Nemo…è una storia semplice ma che ha dentro una verità.»
Cosa farai nell’imminente futuro?
«Il 16 maggio finisce il giro che sto facendo nelle piazze con le performance improvvisate. Poi farò dei festival in estate, sono già confermato al Ferrara Buskers Festival, il 23 e 24 agosto. È un raduno internazionale di musica da strada.»