Odysséas è il terzo attesissimo album dei Syndone, band capitanati da Nik Comogli che dal 2010 ha una nuova lineup, Riccardo Ruggeri, voce e autore dei brani e un altro musicista di spessore, Francesco Pinetti. Con i primi due album, Melapesante (Electromantic 2010) e La bella è la bestia (BTF 2012), i Syndone si sono imposti sulla scena musicale, apprezzati anche dalla critica, con il concept album Odysséas (Fading Records). I Syndone si avvalgono della collaborazione di due grandi nomi della musica internazionale, il batterista tedesco Marco Minnemann e il flautista inglese John Hackett. In occasione della pubblicazione di Odysséas,questa bellissima opera rock, un viaggio verso la vita, abbiamo intervistato Nik Comoglio e Riccardo Ruggeri.
Odysséas è una breve rivisitazione rock dell’omonimo poema di Omero, e in questo disco, su quale punto del poema vi concentrate?
-N: «La bella frase di Marcel Proust che apre il booklet “Viaggiare non è scoprire nuove terre ma avere nuovi occhi”, credo riassuma bene l’idea che c’è dietro questa nostra opera. Il viaggio dell’uomo contemporaneo è il viaggio interiore, il viaggio nell’inconscio, il modo per ricominciare a riesaminare la realtà da una nuova angolazione e vedere sé stessi e gli altri proprio da quest’altra nuova angolazione.
È il modo nuovo di vedere le cose il segreto per capire chi siamo, dove andiamo e da dove veniamo… sempre che ci interessi saperlo ovviamente!»
Potete fare una breve narrazione della storia di questo concept album?
-N: «Alla base di questo concept, ispirato all’Odissea, c’è il tentativo di riportare a galla quelle variabili disperse dentro di noi che ci consentiranno di riagganciare la dimensione dei valori umani che stiamo lentamente perdendo, giorno per giorno, dentro una realtà virtuale in cui siamo sempre più immersi: “hai un ID? … hai un ID??…chi sei?… chi sei?!” (Odysséas: “Nemesis” – traccia 8). L’ipotetico viaggio di Ulisse nel 2014 per noi coincide con il rinascimento di un nuovo umanesimo che passerà dagli occhi della gente e quindi dalla loro anima.»
Come Ulisse intraprendete un viaggio, cosa si nasconde metaforicamente dietro questa parola? Come intendete la parola viaggio?
-R: «Il viaggio, il vacare, è la reazione, lo schizzare di una palla infuocata, che si muove per non esaurirsi ma che non può fare a meno della combustione generata dalla scintilla della curiosità.»
Com’è avvenuto il songwriting e il processo di registrazione?
-N: «In genere noi partiamo dalle parti obbligate dei pezzi; scriviamo in sostanza tutto ciò che dovrà essere la spina dorsale del lavoro. Una volta terminata la composizione e sentite le simulazioni midi registriamo gli strumenti veri a click lasciando “aperte” quelle parti in cui si prevede la voce o un solista o una frase di lancio o quant’altro.
Nel caso di Odysseas abbiamo dovuto inserire nel mix le tracce di batteria che ci ha inviato Marco dagli USA e la traccia di flauto di John su “Penelope”. Finito tutto questo Riccardo, che nel frattempo ha lavorato sui testi, incide le parti vocali. Poi si mixa il tutto riascoltando più volte se ci fossero qua e là cali di tensione durante i 50 minuti di musica. Poi si masterizza e si fanno le grafiche; infine si stampa.»
Come avete conosciuto e com’è avvenuta la collaborazione con Marco Minnemann e John Hackett?
-N: «Per quanto riguarda Marco Minnemann, è stato un contatto di Francesco. Lui lo conosceva già per aver partecipato a una sua drum clinic e aveva la sua mail. L’abbiamo poi ricontattato in seconda battuta chiedendogli se gli interessava suonare la batteria sul progetto. Lui ci chiese le simulazioni midi per avere un’idea di massima del taglio musicale del nostro disco: dopo qualche giorno ci disse che l’idea e i pezzi gli piacevano e così accettò. John ebbe lo stesso iter ma fu più veloce perché suonò solo su una track.
Pensammo a Marco sia perché ha un drumming progressive molto attuale e fresco (e quindi avrebbe portato una nota innovativa all’interno del lavoro bilanciando le parti più tradizionali dell’album), sia perché ha veramente un “tiro” devastante difficilmente uguagliabile da qualsiasi altro batterista odierno.»
Quanto tempo avete impiegato per la realizzazione dei testi, e soprattutto per rileggere il poema?
– R: «È sempre difficile rispondere con delle cifre precise. Di sicuro, da quando si è palesata l’idea di questo concept alla registrazione è trascorso circa un anno, ma il lavoro di scrittura ha avuto dei ritmi liquidi. Alcune bozze sono nate nel primo periodo di elaborazione, derivate da istintive reazioni più appunti e spunti da materiale d’archivio; poi ho lasciato fermentare. Ho scritto e stracciato molto a fasi alterne fino a che ad un mese prima delle registrazioni ho radunato quegli spunti che si avvicinavano maggiormente al mio punto di vista/umore di quel momento. Lì è iniziata una fase intensa, un’immersione totale nelle melodie e nelle parole, sopratutto la notte. Poi arrivi in studio con delle versioni che credi definitive, ma ti accorgi che molto può cambiare e nel mese di registrazioni arrivi alla foto finale. La rilettura del poema, non lineare, e di testi correlati mi ha accompagnato per tutto l’anno di lavoro.»
Nella canzone Il tempo che non ho, parlate che “non esiste mondo irreale che sublimi le virtù”, a cosa vi riferite?
-R: « Giochiamo. Diamo per vera l’affermazione che ci dice che “esiste UN mondo reale”; di conseguenza è possibile individuare altri mondi che reali non sono, ma restano proiezioni soggettive, realtà parallele invisibili agli altri e inutili al confronto di noi con l’esperienza. È in quel mondo che il nostro Ulisse si getta con tutta la sua tenacia per scoprire, nel confronto diretto con gli uomini e le forze della natura, quanto sia possibile spostare più in là i limiti del proprio agire, del sapere, le virtù.»
In Focus, invece, consigliate a combattere per sopravvivere…
-R: «La sopravvivenza dovrebbe essere guidata da un istinto. Quando così non è ci si autoelimina. Ulisse da l’idea di conservare ancora questo moto interiore, ha ben chiaro il suo focus, che anche declinato nel contemporaneo assume la forma della lotta ad ogni consolazione e certezza. È la sua idea di bene.»
In Ade citate anche Joyce…
-R: «Giusto alcune citazioni, anche da Joyce, doverose e rispettose, e non a caso quando si scende negli inferi. La dove il pensiero si contorce come le anime e l’immaginario si popola di figure simboliche inquietanti e spietate sulla nostra banalità. »
Odysséas è anche un’opera rock, pensate di portarla a teatro?
– R: «Se in Italia esiste qualcuno in grado di gestire un’Impresa culturale presentacelo. Al momento è impossibile per noi sostenere un progetto simile, ma l’idea è molto stimolante e credo che il materiale del disco si presterebbe bene ad un’elaborazione tale.»
Ci sono dei brani rimasti fuori?
-N: «Stava per rimanere fuori “Daimones” , perché lo ritenevo troppo “pop” per un disco di musica rock progressive. Fortunatamente poi ho deciso di inserirlo lo stesso e adesso lo sento parte integrante del progetto tout-court e in linea con tutto il disco. Alle volte bisogna avere il coraggio di osare sulle proprie scelte artistiche!»
Nel booklet avete inserito i testi anche in lingua inglese, pensate a un’esportazione del disco?
-N: «Syndone, come vendite, ha decisamente più successo all’estero che in Italia: per questo motivo traduco sempre tutto il booklet in inglese e se posso anche in francese e giapponese.»
Com’è caduta la scelta della copertina sul pittore Lorenzo Alessandri?
-N: «Questo quadro di Alessandri ha in sé una malinconia e una tensione verso l’infinito molto forte: i tre personaggi col becco (o “Bedu”, come li battezzò il pittore) sembrano concentrati verso un fine ultimo lontano ed estremo, ma tra di loro sembrano essere psichicamente slegati. In effetti noi arriviamo da situazioni artistico/musicali molto differenti e questo disco sembra unirci ideologicamente in un momentaneo sforzo creativo per raggiungere un obiettivo comune, una mèta artistica ben precisa; mèta che poi, una volta raggiunta, deve svanire per lasciar spazio a nuove forme, nuove idee, nuove sfide musicali; nuovi obiettivi devono pertanto delinearsi al più presto… il progressive è anche questo!
Il fatto di aver usato una tela di Alessandri lo dobbiamo in parte a una nostra personale scelta di tipo estetico, in parte alla consulenza dell’ottima Concetta Leto (curatrice dell’opera e della Pinacoteca Alessandri) la quale gentilmente ci ha concesso la liberatoria per l’uso di questo incredibile quadro come copertina dell’album.»
State preparando un tour?
-N: «Si stiamo pianificando la prossima stagione con una serie di concerti che ci aiuteranno a promuovere “Odysséas” ma anche la ristampa di “Melapesante” prevista per fine settembre da Fading Records.»
Quali sono i vostri prossimi progetti?
-N: «Per il momento non abbiamo ancora idee nuove per un nuovo disco, anche perché riuscire a superare o anche solo ad eguagliare la cifra stilistica di “Odysséas” non è cosa da poco. Ci stiamo concentrando sull’aspetto live: Syndone è un sestetto composto dai seguenti musicisti: Riccardo Ruggeri (voce, chitarra acustica), Maurino Dellacqua (basso, taurus bass), Martino Malacrida (batteria), miss Marta Caldara (vibrafono e tastiere), Gigi Rivetti (piano e moog) ed infine io Nik Comoglio (hammond, tastiere e juno dist).»