Lo hanno scritto gli inviati internazionali che a Cannes l’anno scorso lo avevano visto in anteprima. Duran Duran Unstaged, il lungometraggio con la band inglese diretto da David Lynch è più eccitante nelle intenzioni che nella realizzazione.
Beninteso, si tratta sempre dell’incontro di due genialità nel loro campo, e questo è indubbio, altrimenti il team di Qmi e Woovie Nights che ha comprato i diritti al marchèe sulla Croisette non ci avrebbe scommesso. Ma Unstaged è di difficile interpretazione (e giudizio) proprio perché non esiste nulla di simile, evidentemente, nella tradizione visual del rock nel mondo. Ci sono loro, gli inossidabili Duran che nel 2011, quando è stato ripreso lo show, erano appena tornati attivi sul mercato con un disco All You Need Is Now, prodotto da Mark Ronson e pieno di auto-citazioni del proprio repertorio anni 80. Poi c’è Lynch con il suo immaginario fatto di sovrapposizioni visive oniriche che “sporcano” la mera ripresa di un’esibizione in un teatro di Los Angeles.
Il risultato non è quello che ci si aspetta da un regista di thriller di fama leggendaria, ma è un musical thriller in ogni senso, che ha le canzoni come spina dorsale, e i sogni lynchiani come background introspettivo che a volte emerge prepotentemente e disturbante. È un bene assistere a questa contaminazione, una delizia ascoltare un repertorio musicale di questo rango con un missaggio sonoro eccellente (che non fa minimamente rimpiangere la diretta streaming dello show su youtube). Non ci si deve però sforzare di capire il confine e il senso della sovrapposizione delle due narrazioni. Le grafiche di Lynch sulla musica dei Duran Duran hanno la capacità e forse l’intenzione di stupire e alimentare la curiosità per un matrimonio completo tra due universi, che non si è consumato del tutto. Ma i sogni, si sa, sono di difficile elaborazione e sfuggono alla coscienza. E Lynch lo dice chiaro all’inizio del film: “I sogni migliori li ho avuti ascoltando la musica dei Duran Duran”.