Sembra difficile immaginarli, così come sono oggi, spavaldi e allegri colorati musicisti acclamati, solo qualche mese fa, chitarra in spalla, in viaggio dall’Australia a Milano a tentare di convincere gli executives della Universal. Un’audizione in piena regola che ha fatto guadagnare al sestetto degli Sheppard il secondo mercato della loro carriera, dopo la madrepatria. Appena ingaggiati, il loro debutto, Geronimo, stava iniziando a spopolare a casa.
Poi siamo arrivati noi italiani, con le radio che hanno trasmesso il singolo a ripetizione (ancora in top 3 attualmente). A ottobre (il 28) uscirà il primo disco Bombs Away dei Sheppard, una piacevole raccolta di power pop suonato, con influenze a tratti 60s, a tratti melodiche ma sempre uptempo e vivaci. Come loro, i fratelli Sheppard (George, Amy ed Emma) che con altri tre musicisti hanno dato vita a questa improvvisa favola musicale, spinti dal papà e dalla mamma dei tre, che ora li segue in tour. Dal vivo suoneranno al Tunnel di Milano il 12 novembre.
Come vi sentite accolti in posti così lontani dalle vostre origini?
«In realtà in Australia ci siamo arrivati da bambini, perché noi fratelli siamo cresciuti in Papua Nuova Guinea, che è un posto molto esotico che ha sicuramente avuto delle influenze sulla nostra musica. Siamo molto contenti di viaggiare molto, come fanno tutti gli australiani, e anche di essere capaci di verificare che le orecchie del pubblico sono uguali dovunque. Geronimo è una bella canzone che è piaciuta a tutti, indipendentemente dalle provenienze.»
Avete studiato un look particolare per il vostro lancio?
«Il nostro manager ci diceva che eravamo scoordinati e che non potevamo sembrare a tratti punk o a tratti boyband. Così ci siamo resi conto che era meglio fare scelte di gruppo. Ci interessano molto i vestiti e la bellezza in generale. Andiamo a caccia di nomi nuovi per essere ispirati da nuove mode, ovviamente ammiriamo i grandi come Giorgio Armani.»
Perché la vostra musica è così solare?
«Perché abbiamo deciso che per comunicare ci vuole speranza, e quando scriviamo diciamo che c’è la luce, non ci interessa dire alle persone com’è brutto essere sbattuti a terra. Ovviamente capita a tutti ma noi raccontiamo di com’è bello rialzarsi.»
C’è qualche influenza maori nel vostro sound?
«Non crediamo, siamo di un altro posto e se qualche influenza folk c’è è soltanto dovuta all’uso della slide guitar. A pensarci bene però nostro padre ci faceva ascoltare cose di Angus e Julia Stone, un duo australiano da influenze folk.»
Geronimo è il nome di qualcuno in particolare?
«No, è un modo di dire in Australia che si usa prima di fare cose molto coraggiose, porta bene. Tipo, prima di fare un salto da una rupe si grida: Geronimo! Deriva anche dal guerriero che resistette alle invasioni in Messico.»
Siete molto popolari sui social network, qual è il vostro utilizzo dei mezzi?
«Abbiamo iniziato da un paese dove Facebook è molto popolare, quindi siamo passati da lì a Twitter. È molto diretto e non è un male, perché per noi è importante il contatto col pubblico, anche se notiamo che i “trolls” ci sono sempre. Ma non capiamo la negatività: che bisogno c’è di attaccare un artista che non ti piace? Forse per avere l’orgoglio di una risposta, chissà.»
Siete molto giovani, col successo la vita cambia?
«Nel senso che si lavora di più e si fanno cose diverse, come parlare con voi giornalisti e essere ascoltati da tante persone in tanti stati diversi. Ma questa novità è la ricompensa di 5 anni di lavoro in cui abbiamo suonato e scritto senza nessuna garanzia. Abbiamo lasciato i nostri lavori e gli studi senza sapere dove ci avrebbe portato la musica.»
Se doveste scegliere artisti australiani di rilievo delle scorse decadi, chi nominereste?
«Gli Inxs, Savage Garden e Gotye che è un vero genio moderno. Somebody That I Used To Know è la sua canzone più famosa ma ci sono due interi dischi che sono degni di essere scoperti. Ci piace, tra i contemporanei, anche Sia e la sua Chandelier.»