Il Teatro Diana ospita fino a domenica 9 febbraio L’Ebreo, uno dei testi più avvincenti del commediografo romano, classe 1956 Gianni Clementi con Nancy Brilli, Fabio Bussotti e Claudio Mazzegna per la regia di Pierluigi Iorio, scene di Alessandro Chiti, costumi di Josè Lombardi, hight designer Javier Delle Monache.
L’autore con questo testo vinse nel 2007 il Premio Siae-Eti-Agis.
Roma 1956, in pieno dopoguerra. Con l’entrata in vigore nel 1938 delle leggi razziali ad opera dei fascisti, si era diffusa tra gli ebrei la pratica di intestare a prestanomi fidati i propri beni per metterli al riparo da possibili espropri. Per questo motivo i coniugi Immacolata e Marcello Consalvi si ritrovano intestatari di appartamenti e negozi. Ma quando l’ebreo reclama le sue proprietà, Immacolata, che appartiene al basso proletariato, non intende rinunciare ai privilegi economici e sociali a cui si è abituata e decide addirittura di ucciderlo. Tra colpi di scena e battute al veleno, si arriverà ad un finale a sorpresa spiazzante ed inaspettato.
La commedia di Gianni Clementi indaga senza fare sconti l’animo umano e il grado di aberrazione al quale si può arrivare pur di non perdere rispettabilità e privilegi acquisiti. L’ambientazione del testo nel periodo storico del Boom economico non fa altro che sottolineare il binomio denaro-potere e la sua fascinazione esercitata su una classe sociale, quella dei cafoni arricchiti, intrepidi e spavaldi, tutti racchiusi nel personaggio di Immacolata, autentico fulcro della commedia.
Il lato oscuro dei personaggi che si delinea gradualmente dispensa al pubblico suspence, divertimento, tenerezza, indignazione grazie ad una recitazione e ad una regia attenta e puntuale.
Lo spettatore rimane affascinato dalla bravura degli attori, in particolare Nancy Brilli che rende alla perfezione l’avidità, l’egoismo, il cinismo di Immacolata Consalvi attraverso l’elaborazione di un piano diabolico che coinvolge il marito Marcello (Fabio Bussotti) succube della sua sfrenata ambizione insieme all’amico tonto (Claudio Mazzegna). Immacolata parla, seduce, convince, inganna il marito e l’amico per i suoi scopi. Il suo dichiarato obiettivo, espresso dalla frase: “Io a fare la serva nun ce torno” si estende a poco a poco anche alle figure maschili esaltandone l’umanità e la solidarietà inconfessata del pubblico insieme al riconoscimento del sottile e coraggioso impegno sociologico del testo.
L’Ebreo ci ricorda che i cattivi sentimenti non tramontano mai e se il teatro non è soltanto memoria tangibile del nostro passato questa commedia ne è la prova.
Alla prima napoletana prolungati e calorosi applausi.