La verità delle stelle del rock spesso è tutt’uno con il loro personaggio, con la loro arte. Se parliamo di musica in Italia il rocker maledetto e controverso negli ultimi 20 anni è stato impersonato magnificamente da Gianluca Grignani. Vero è che con l’ultimo “scandalo” ha scelto la copertina di Vanity Fair per spiegare la sua storia (la crisi di panico in un albergo con conseguente fermo). Poco rock, non c’è dubbio. Ma a mettere un punto definitivo su chi è Grignani a 42 anni e a 20 dal suo esordio è senz’altro il bel disco A Volte Esagero, registrato in giro per il mondo con una meticolosa pignoleria. Insomma, Grignani non si reinventa ma prosegue nel suo percorso (ha alla chitarra personalità come Michael Tompson) e non perde il focus. Anzi, anche quando parla alla stampa del suo decimo album si entusiasma per particolari tecnici che lasciano trasparire un amore per il suo lavoro “come alle origini”.
Sei cambiato?
«Non ho più paura di dire le cose in maniera diretta. Magari è il business della musica che è cambiato. È vero che con il download si guadagna di meno ma io ho fatto le cose in grande, ci ho messo soldi miei in questo disco e per due anni sono stato in giro per studi in America, Londra e Roma. Non c’era questa possibilità quando ho iniziato, certo, giravano più soldi ma ero meno libero. Una frase come “La droga ti butta giù” non me l’avrebbero fatta pubblicare. Ora spero di poter essere orgoglioso delle vendite.»
E personalmente?
«Sono cambiato nel senso che a 42 con 4 figli devi essere un buon padre. Ora lo sono. E con la mia compagna ci siamo confrontati e abbiamo deciso di cambiare registro e raggiungere un equilibrio che oggi ci dà soddisfazione, sto meglio ora indubbiamente. E la fase in cui credevo di non farcela è passata. Sono stato via da casa molto tempo per il disco e una canzone come L’Amore Che Non Sai, che reputo tra le tre migliori che ho scritto sull’amore, è venuta fuori proprio per il senso di nostalgia per la famiglia. Ho visto solo pareti bianche per molti mesi.»
So che hai vissuto tra San Colombano e Ponte di Legno. Com’è la tua vita lontano dalle grandi città?
«Parlavo con il mio amico Red Ronnie e mi è venuto in mente di prendere a prestito una cosa che aveva detto, la rivoluzione serena. Ed è diventata una canzone. Mi circondo di persone simpatiche e stimolanti, non ho molti amici nell’ambiente ma qualcuno conosco. Marco Lodola, l’artista che ha curato la copertina, mi ha spinto a essere “artista”, a non soppesare sempre quello che penso di dire. Con lui siamo diventati amici e andiamo a cena con Enzo Iacchetti, un altro grande.»
Niente musicisti o colleghi famosi.
«Beh non è detto, ho chiaramente amicizie. Prima twittavo con Biagio Antonacci. Mi piace. Amo Vasco, ovviamente. Ho un buon rapporto con Francesco Renga, che secondo me è un fenomeno dal punto di vista vocale. È solo che non mi viene da fare featuring tanto per farli. Vorrei che fosse qualcosa di diverso, se mai dovesse accadere. Ecco vorrei farlo con Marracash, due periferie di Milano opposte che si incontrano. Io da Precotto e lui dalla Barona. Magari resterà sorpreso da questa dichiarazione.»
Con Lodola hai anche altri progetti?
«Sì, voglio che il rientro live sia qualcosa di scenografico e lui ci sta lavorando. A ottobre annunceremo due eventi importanti per l’anno prossimo, voglio che sia tutto in grande stile. Spesso mi chiedono anche di fare iniziative di crowdfunging ma io sento di avere un seguito per cui devo fare delle cose in un certo modo, con standard alti. Per questo voglio che anche il mio pubblico si accorga di quanta cura c’è nelle mie scelte. Non mi piace l’idea della musica gratis, tutto ha un costo ed è giusto che si pensi a quanto impegno anche economico c’è dietro concerti e tour.»
In un nuovo pezzo citi il tuo primo successo, La mia storia fra le dita. Perché?
«Perché mi piace ci sia continuità, quell’album, Destinazione Paradiso è fantastico perché è di pancia, l’ho voluto citare per questo. È un vezzo ma non è autocelebrazione.»
Un altro brano si chiama Non Voglio Essere Un Fenomeno. Sei realmente tu?
«Non ho mai parlato tanto di me come in questo disco, pur utilizzando le storie di altri. Però quella canzone è giustamente riferita anche a me, a quello che non voglio essere, a quello che forse sono stato all’inizio ma non mi interessa. Forse tutti per un momento lo siamo nella vita ma poi penso al momento che viviamo in generale e mi rendo conto che tutti vogliono apparire più che essere a tutti i livelli. Tutto è di moda, io invece scrivo per stare dalla parte della gente.»
Quanto di socialmente impegnato c’è nei tuoi testi oggi?
«Parto dalle relazioni ma poi descrivo quello che vedo in strada e dico in totale libertà quello che penso. Mi ha fatto bene il ritornare a parlare con la gente, sentirsi dalla parte della strada, nel senso buono dell’espressione. Ho un amico che mi parla di come si arrampica sul palo della luce dell’Enel all’alba per lavoro. Mi sento vicino a lui, alcune cose che canto sono anche sue, c’è molto in comune tra me e una persona così.»
Pensi di essere in un momento felice della tua carriera?
«Ho cambiato tutto il mio entourage, dal commercialista al manager. La Sony mi ha appena rinnovato il contratto ancor prima di sentire il disco, per altri due anni. Per me è bello poter lavorare aspettando la cosa giusta che arrivi. La musica è sempre in divenire per me. Ci ho messo due anni per fare quest’album perché volevo che fosse un’espressione della mia libertà. E ho dovuto aspettare perché non è semplice e non tutto arriva subito. Scrivo ancora di getto ma poi mi fermo e aspetto che arrivi la scintilla che completi il concetto. Non si pubblica un disco così senza sforzi.»