Ad inaugurare la stagione 2024/25 del Teatro Mercadante-Teatro di Napoli è Don Giovanni da Da Ponte, Molière e Mozart, scritto diretto e interpretato da Arturo Cirillo, con Irene Ciani, Rosario Giglio, Francesco Petruzzelli, Giulia Trippetta, Giacomo Vigentini; una co-produzione Teatro di Napoli-Teatro Nazionale, Marche Teatro, Teatro Nazionale di Genova, Emilia Romagna Teatro / ERT Teatro Nazionale (repliche fino a domenica 27 ottobre).
Dopo Le Intellettuali del 2005 e La Scuola delle Mogli del 2018, il vulcanico talento di Arturo Cirillo torna a misurarsi con uno dei suoi autori più congeniali, Molière. Ma stavolta egli stesso mette mano al copione, interpolando al testo del grande commediografo francese del Seicento quello del meno riconosciuto ma altrettanto valido librettista italiano del Settecento, Lorenzo Da Ponte. La genesi dell’operazione ce la spiega lui stesso: «La mia passione per il personaggio di Don Giovanni e per il suo inseparabile alter ego Sganarello nasce soprattutto dalla frequentazione dell’opera di Mozart/Da Ponte. I miei genitori mi portarono a vederla al San Carlo di Napoli, poi vidi il film che ne trasse Joseph Losey nel 1979. Ma l’incontro veramente decisivo con questo personaggio, e con l’opera mozartiana, avvenne intorno ai miei vent’anni, all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma. Uno storico insegnante di Storia della Musica, Paolo Terni ci fece lavorare proprio sul Don Giovanni in una forma che potrei definire di “recitar-cantando”, in cui ci chiese di interpretare il bellissimo libretto di Lorenzo Da Ponte (bellissimo per poesia, musicalità e vivacità, ma anche perché – e non lo dico solo io – è una delle opere più alte, dal punto di vista linguistico, della letteratura italiana). Oltre al libretto dapontiano recitavamo rapportandoci con la musica di Mozart, con i suoi ritmi e le sue melodie. Quindi ho deciso di raccontare questo mito usando forme e codici diversi, conservando di Molière la sua capacità di lavorare su un comico paradossale e ossessivo, che a volte sfiora il teatro dell’assurdo, e di Da Ponte la poesia e la leggerezza, a volte anche una drammatica leggerezza».
Ci troviamo di fronte a uno dei rari casi in cui le intenzioni della regia non vengono tradite dalla pragmatica della messa in scena. Qui tutto il senso dell’operazione viene messo felicemente in luce, con un’alternanza di toni e registri (poetico, per quanto riguarda le parti di Da Ponte, prosaico per il testo di Molière) che, lungi dall’essere in contrasto tra di loro, risultano assolutamente organici arricchendo la massa in scena di vivacità e ritmo sostenuto. Anche il concetto di “recitar-cantando”, di per sé abbastanza oscuro, si concretizza in una cadenza ritmata delle battute il cui valore poetico e comico ne viene esaltato. Il resto lo fanno le doti istrioniche di Arturo Cirillo, nei panni del protagonista, e di Giacomo Vigentini in quelli di Sganarello. Ottima prova per tutto il resto del cast, alle prese con doppi e – a volte – tripli ruoli, ognuno giocato su caratterizzazioni convincenti. Tra tutti ricordiamo Rosario Giglio nei ruoli di Don Luigi, il Commendatore e Signor Quaresima. Di particolare effetto il finale per nulla pirotecnico, come vuole la tradizione, ma più intimo e sofferto, come una confessione del fedifrago ateista a se stesso. Come d’effetto sono le scene di Dario Gessati che rimandano ai giardini di Versailles, i costumi di Gianluca Falaschi (anche qui una commistione tra elementi d’epoca e moderni, poetico e prosaico appunto) e, soprattutto, le musiche di Mario Autore che riscrive alcuni brani della partitura di Mozart per un ensamble da camera. Spettacolo da vedere.