Sembra di tornare alle belle commedie all’italiana maniera. Sembra di tornare ai borghi di Don Camillo e Peppone, di “grandi seduzioni” francesi e tanto altro. Flavio Lucibello pubblica un romanzo bello, popolare nei toni, di godibilissima lettura e capace di far presa fino alla fine. Si intitola “Verbello e Belsole, solo storie di paese”, dove la satira alla nostra vita quotidiana è il vero centro di una storia tutta italiana che nasce e vive tra i confini della provincia. Ci si diverte… ma si leggono anche grandi verità che poi sono parte di ognuno di noi.
Eterna diatriba che rispecchia molto del teatro italiano. A partire (per altri versi ma con una stessa ragione) dal celebre Don Camillo e Peppone. Non trovi?
Sì, molto umilmente mi sono un po’ ispirato a due giganti della letteratura molto diversi e distanti temporalmente tra loro: Giovanni Guareschi e Stefano Benni. Di Guareschi ricalco un po’ il carattere della commedia di costume, il piccolo paese, la provincia. Di Benni il gusto per l’assurdo che poi, a ben vedere tanto assurdo non è. Le situazioni, apparentemente, paradossali hanno tutte una matrice di realtà molto forte. Le meschinità, le furbizie, i sotterfugi e i piccoli giochi di potere sono in realtà ben radicati nel tessuto sociopolitico del nostro paese che penso sia ancora molto provinciale.
Un romanzo divertente ma anche denso di spunti di riflessione. Mi incuriosisce sempre questo accostamento e mi chiedo: non sarà che nel divertimento uno perde il filo della morale importante?
Di solito scrivo romanzi più “seri”. L’ultimo su una violinista dell’orchestra femminile di Auschwitz ne è la testimonianza. Devi sapere che per lavoro ho spesso avuto a che fare con il mondo della politica e delle pubbliche amministrazioni. In più occasioni ho avuto a che fare con soggetti che farebbero impallidire i personaggi del libro. Di solito questo mi provoca indignazione e rabbia per come viene gestita la “res pubblica”. Ma un giorno in cui ero particolarmente colpito da alcune nefandezze a cui avevo assistito, mi sono sfogato scrivendo un racconto satirico, il primo del libro. Quando ho pubblicato quel racconto la risposta è stata tale da lasciarmi basito. Tantissimi mi hanno scritto ringraziandomi perché era tanto che non si divertivano così, altri mi chiedevano addirittura il seguito. Allora sono arrivato a una conclusione: Le persone hanno bisogno di ridere, di allentare la tensione, non serve che gli elenchiamo seriosamente e in modo ossessivo i problemi che devono affrontare tutti i giorni e che ben conoscono. Se non se ne rendono conto non è un libro che le farà ragionare, anche perché si guarderebbero bene dall’acquistarlo. Ma quelli che ne sono consapevoli preferiscono, per un attimo, riderci su, forse anche delle loro disgrazie, ma con un po’ di ironia. E ho deciso, attingendo al nutrito patrimonio personale di nefandezze sociopolitiche, di scrivere il resto. Ho in mente il motto anarchico: Una risata vi seppellirà. Ecco, spesso le persone pensano questo.
Esistono tracce reali di questi paesi nell’Appenino? Hai raccontato di scorci che hai avuto modo di visitare?
Sì, sono la sintesi immaginaria che raccoglie molti elementi di paesi appenninici che ben conosco. Dall’appennino Tosco-Emiliano alla Calabria, il nostro paese è disseminato di piccole realtà come Verbello e Belsole.
Scrivere un romanzo oggi, che peso culturale e sociale ha? I libri ancora resistono alla liquidità digitale?
Essendo io un “boomer” ho faticato un po’ all’inizio a prendere confidenza con la comunicazione web. Ma era fondamentale per poter arrivare anche ai giovani e ai numerosissimi fruitori della comunicazione “istantanea”, perché di questo si tratta. Ritengo che per poter ricondurre (o portare per la prima volta), un lettore, a dedicare più di 2 minuti e 30 secondi alla lettura di qualcosa, dobbiamo attraversare la “Terra di Mezzo” che separa i due mondi, e far capire che anche da quest’altro lato ci sono cose interessanti e godibili, che lasceranno però in loro una traccia più profonda. Scardinare questa pigrizia mentale ormai dilagante è un’impresa improba, ma è fondamentale farla. Questo modo di comunicare, di apprendere, di informarsi ha la caratteristica di essere profondamente superficiale e di conseguenza, anche la capacità di analisi e di pensiero si riduce e tende al “pensiero unico”.
Che sia un manifesto politico questo romanzo? Possiamo sottilmente fotografarlo anche Non ha l’ambizione di essere un manifesto politico, per quello ci vorrebbe molto di più. Ci vorrebbe un lavoro più serio che va ad analizzare i fondamenti socioeconomici sui quali stiamo costruendo il nostro futuro. In parole povere, finché il fine ultimo sarà il profitto e la crescita illimitata non potremo aspettarci società migliore. Se vogliamo vederla da un punto di vista di satira politica, allora sì, è un mettere l’accento su quella che è la nostra deriva, purtroppo condivisa anche da molti altri paesi occidentali.