«Invernale è un romanzo potentissimo che ti atterra mentre ti eleva e ti prende alle spalle mentre ti guarda in faccia e Voltolini è un grande scrittore, c’è poco da fare». Sandro Veronesi
Lo scrittore torinese Dario Voltolini con Invernale (Ed. La Nave di Teseo, pag.140) è arrivato tra i finalisti del Premio Strega 2024, vinto dalla Di Pietrantonio con L’età fragile.
Ecco come lo scrittore Sandro Veronesi lo aveva proposto con la seguente motivazione: «Ci sono libri così belli da sbalordire. Cosa hanno in più degli altri? Magari l’autore ha già scritto libri molto belli, è una figura nota, apprezzata, i suoi punti di forza sono ben conosciuti e la qualità della sua scrittura non dovrebbe sorprendere più nessuno: eppure in quei libri lo fa, sorprende, sbalordisce. Perché Perché tutto ad un tratto sembra che quell’autore sia nato per scrivere quel determinato libro e che tutti gli altri non siano stati altro che un passo per arrivare a scriverlo? Io non so rispondere a queste domande ma so che ogni volta che apro un libro, ogni santa volta, in cuor mio spero che si tratti di uno di quei libri, così da ritrovarmi ancora una volta sbalordito per la bellezza e confuso in questo mistero. Invernale di Dario Voltolini è uno di quei libri. La sua bravura è nota come anche la luminosità della sua scrittura e la genialità del suo modo di raccontare. Eppure nessuno dei suoi libri precedenti mi aveva sbalordito come questo. Ed è proprio per condividere il mio sbalordimento che ho deciso di presentarlo per l’edizione 2024 del Premio Strega».
E come dare torto a Veronesi? Dario Voltolini, autore di racconti, romanzi, radiogrammi, testi di canzoni (É suo il brano Tempi burrascosi del 2008 interpretato da Elio), libretti, si è fatto notare dalla critica letteraria dal 1990 con Una intuizione metropolitana a cui hanno fatto seguito Rincorse, Forme d’onda, 10, Primaverile, I confini di Torino, Il Giardino degli Aranci.
Il titolo Invernale, come Dario Voltolini ha spiegato più volte nel corso di numerose interviste, nasce dalla sensazione di freddo che appena ventenne provò quando suo padre Gino morì a causa di un linfosarcoma pro-linfocitario a soli cinquant’anni. Ed infatti il romanzo si colloca nel genere autobiografico perché fa riferimento alla sua storia personale e a quella di suo padre.
Il romanzo dai capitoli brevi, alcuni addirittura costituiti da poche parole (vedi cap. 13-25-32) può essere diviso in due parti. La prima riguarda il lavoro di Gino abituato, come macellaio, ad affondare le lame dei coltelli nella carne degli animali e una seconda che parte dalla sua carne ovvero una ferita al dito pollice che si infetta e la diagnosi di un cancro che potrebbe essere curato in una clinica a Villejuif, in Francia.
Dario Voltolini, senza alcun compiacimento, descrive con parole potenti la sua sofferenza e quella del padre e la sua capacità di prepararsi al lasciare andare la persona cara. Tutto sta nelle ultime parole che il padre ha la forza di pronunciare: “Salutatemi Dario”. E in quest’ultimo pensiero ci siamo tutti noi lettori che ci interroghiamo da sempre sul significato della vita e della morte e che vorremmo essere ricordati dalle persone care negli ultimi momenti di lucidità.
Le parole che concludono Invernale sono straordinarie per il loro potere evocativo e rappresentano una sorta di preghiera laica da fare propria e custodire perché, come diceva Michelangelo: «Non nasce in me pensiero che non vi sia scolpita dentro la morte», anche se noi, comuni mortali tendiamo a non parlarne o, nella migliore delle ipotesi, ad esorcizzarla.
«Salutatemi Dario blocca immediatamente l’ordigno che stava scendendo in me e che ormai era arrivato al punto e stava per deflagare. Lo ferma lì, dove è tutt’ora, ma io ci sono ancora. Ci sono ancora e quello che mi sembra l’atto più simile alla preghiera posso permettermelo solo rivolgendomi a lui, a nessun dio fasullo di quelli che conosciamo e nemmeno al dio della pura luce raccontato dalla gnosi e che non conosciamo, scintille del quale starebbero in noi: quel dio di luce non può conoscere il buio, non può conoscere il freddo. Mi resta lui….». (pag 139-140). Che prosa e che stile!