Al Teatro San Ferdinando di Napoli va in scena Il Rito di Ingmar Bergman nella versione per il teatro di Gianluca lumiento dell’omonimo film, interpretato da Elia Schilton, Alice Arcuri, Giampiero Judica e Antonio Zavatter; adattamento e regia di Alfonso Postiglione; una produzione Teatro di Napoli–Teatro Nazionale, Ente Teatro Cronaca, Campania Teatro Festival–Fondazione Campania dei Festival (repliche fino a domenica 3 Marzo).
La sceneggiatura di Bergman (che aveva scritto questo testo per il teatro nel 1969 e che poi trasformò in un film per la TV svedese) descrive, in nove quadri, l’ossessivo accanimento del giudice Abrahamsson contro tre attori di teatro che vengono denunciati e sottoposti al suo giudizio per rispondere delle accuse di oscenità rivolte al loro ultimo spettacolo. Dai colloqui iniziali con gli artisti l’inquirente non riesce a farsi un’idea chiara, così chiede ed ottiene dagli attori di allestire la performance nel suo stesso ufficio e assistere in tal modo direttamente alle azioni sceniche incriminate. È a questo punto che si sveleranno le oscure articolazioni dei rapporti intercorrenti tra i tre accusati ma, allo stesso tempo, la potenza delle loro parole ed azioni infrangeranno il simulacro di integrità dello stesso magistrato, rivelando le sue fragilità e un’insospettabile oscurità d’animo.
«La performance dei tre artisti – sottolinea Alfonso Postiglione – si rivela una sorta di rito dionisiaco dalle chiare valenze simboliche, in cui la forza della creazione artistica vince sui tentativi di censura e di normalizzazione di una qualsivoglia autorità, politica o sociale. Incentrata sul rapporto, spesso conflittuale, tra autorità costituita e azione artistica, questa vicenda sembra parlarci del nostro presente. Oltre al tema della censura – subìta spesso da Bergman ai suoi tempi – nel testo è forse ancora più centrale l’affermazione delle possibilità destabilizzanti che possono scaturire da un atto artistico e della sostanziale impossibilità di contenerne gli esiti».
Lo spazio scenico chiuso come una scatola nera, al centro del quale si erge in posizione preminente l’ufficio del giudice Abrahamsson, è un luogo quasi metafisico ideato dallo scenografo Roberto Crea, in cui Alfonso Postiglione rinchiude i quattro personaggi: tre attori, chiamati – di volta in volta – individualmente o a due a due, a rispondere della loro arte dinanzi ad un giustiziere che subdolamente finge di capire le loro ragioni. Al di fuori del bureau, si svolge la loro vita raminga, segnata dal successo, da tournée mondiali, da soldi (tanti) e da un’incredibile tresca che lega la donna ai due compagni di scena. E sul rapporto tra i personaggi e la loro fisicità Postiglione indaga e pone il fulcro della sua ricerca drammaturgica. Una vera e propria partitura per quattro voci e quattro corpi che si frantumano e ricompongono continuamente, in un vortice in crescendo che non può che avere un unico esito. Regia attenta e precisa che si avvale di un ottimo quartetto di attori, dal suadente ed ambiguo Elia Schilton nei panni del giudice alla sensuale Thea di Alice Arcuri, dall’impetuoso Sebastian di Giampiero Judica al razionale Hans di Antonio Zavatteri. Contribuiscono al buon esito dello spettacolo i ricercati costumi di Giuseppe Avallone e le musiche inquietanti di Paolo Coletta. Lunghi applausi alla prima.