Il Teatro Nuovo di Napoli ospita fino al 18 febbraio Con il vostro irridente silenzio con Fabrizio Gifuni che ripercorre una delle pagine più dolorose ed infami della storia italiana: il sequestro di Aldo Moro e la sua uccisione da parte delle Brigate Rosse.
La mattina del 16 marzo del 1978 Aldo Moro, allora presidente della Democrazia Cristiana, fu rapito a Roma, in via Fani e la sua scorta massacrata. Proprio quel giorno il grande statista si stava recando in Parlamento per votare la fiducia al primo governo di solidarietà nazionale nato dal compromesso storico con il PCI e presieduto da Giulio Andreotti.
La sua prigionia durò 55 giorni fino al ritrovamento del suo cadavere in Via Caetani il 9 maggio dello stesso anno, nel bagagliaio di una Renault 4.
Durante la sua prigionia Aldo Moro scrive e scrive tanto: ai familiari, ai colleghi di partito, alle istituzioni nazionali ed internazionali . Il carteggio complessivo viene ricordato dagli storici con il nome Memoriale. Tuttavia buona parte di queste missive non furono recapitate ai destinatari in quanto censurate dalle stesse Brigate Rosse e ritrovate soltanto nel 1990. Quelle poche lettere che furono pubblicate dai giornali erano indirizzate ai familiari ed altre , soprattutto quelle ai colleghi di partito, sminuite nei contenuti e negli appelli ricorrenti. L’obiettivo era quello di screditare agli occhi di tutti la figura di Aldo Moro, delegittimarla seguendo una strategia sottile e calcolata alla quale anche oggi si ricorre e non solo in ambito politico. Si mette addirittura in forse la sua lucidità annebbiata per effetto di droghe e che addirittura la sua scrittura non corrisponda a quella comparata a documenti ufficiali.
Fabrizio Gifuni costruisce lo spettacolo proprio sulle parole scritte di Aldo Moro. Nulla viene aggiunto per spiegarle e per renderle meno drammatiche e crude. Anche il titolo Con il vostro irridente silenzio è tratto da una delle sue ultime lettere destinate ai suoi compagni di partito.
Fabrizio Gifuni ci restituisce un Aldo Moro vero, autentico, compassionevole ed amoroso. Consapevole di essere stato abbandonato da tutti coloro che non vogliono la sua liberazione perché non lo considerano un prigioniero politico e perché la sua vita non può essere salvata barattando la libertà di alcuni militanti nelle BR, accetta la morte come un agnello sacrificale.
Tutto il Memoriale di Aldo Moro rappresenta una prova inconfutabile della pochezza della classe politica italiana di quel tempo. I vari Andreotti, Zaccagnini, Cossiga non muovono un dito e anche il Vaticano, fatta eccezione per il papa Paolo VI che dalle sue finestre lancerà alle Brigate Rosse un appello straziante per la sua liberazione, restano indifferenti alla sua prigionia condannandolo a morte.
Sulla scena una scrivania sulla quale ci sono dei fogli sparsi ed altri per terra,un microfono ad asta e una luce fredda. Gifuni si libera della giacca quasi a voler sottolineare con questo gesto la sua confessione libera. La sua voce non ha bisogno di nessun accompagnamento musicale tanto è acuta e greve in molti passaggi. Le parole più belle e tenere sono quelle rivolte alla moglie Nora, ai suoi figli e al nipotino. Le altre sono potenti invettive non contro i suoi carcerieri ma contro tutti coloro che sanno e non agiscono, ignavi al cospetto del mondo e di Dio.
Fabrizio Gifuni è Aldo Moro e lo spettatore ne avverte la partecipazione emotiva. Al termine della rappresentazione che dura circa due ore, l’attore è visibilmente provato e Aldo Moro non è più soltanto lo spettro a cui dare una dignitosa sepoltura ma un uomo.