Sarà al Teatro Nuovo di Napoli con lo spettacolo “Con il vostro irridente silenzio”
La drammaturgia dell’attore e regista teatrale Fabrizio Gifuni arriva al Teatro Nuovo di Napoli (dal 15 al 18 febbraio) con lo spettacolo Con il vostro irridente silenzio, l’insieme delle carte scritte nei 55 giorni della prigionia di Aldo Moro.
«Definisco questo spettacolo un vero e proprio esperimento teatrale, un po’ come un esperimento scientifico. Si mette al centro della scena un meteorite che viene da un altro tempo e da un altro spazio, per misurare ogni sera, attraverso i corpi dei cosiddetti spettatori – che per me non sono spettatori ma parte di questo rituale scenico – se alla fine dello spettacolo questa specie di meteorite, nel mio caso le carte di Moro, sono ancora in grado di produrre una temperatura e un campo magnetico in grado di toccare profondamente i nostri corpi»
In questo periodo sei in tournée in alcuni teatri d’Italia con “Con il vostro irridente silenzio”, uno studio sulle lettere dalla prigionia, un viaggio iniziato nel 2018 dal Salone del Libro di Torino.
«Nel 2018 c’è stata la prima lettura pubblica di questo lungo lavoro di drammaturgia in occasione dei 40 anni esatti dalla scomparsa di Moro per l’inaugurazione del Salone del Libro di Torino. In quella occasione Nicola La Gioia, che era il direttore del Salone, mi chiese molti mesi prima se io avessi avuto piacere di inaugurare la manifestazione da lui organizzata con un lavoro su Moro. Lui conosceva bene i miei spettacoli, il tipo di lavoro che porto avanti. Doveva restare un’occasione unica, ma quello che accaduto quella sera è stato qualcosa di molto forte, che è rimasto impresso nella memorai del pubblico presente. È stata un’esperienza molto intensa. Nei mesi successivi ho pensato che questa occasione unica potesse diventare un vero e proprio lavoro per il teatro. Quindi dal 2019 ha iniziato a girare come lavoro teatrale. Naturalmente ho continuato a lavorare su quei testi, dandogli una forma teatrale anche se gli elementi di questo spettacolo sono ridotti all’essenza, perché a fare da protagonista in scena sono le parole di Moro, che danno vita ad una presenza fantasmatica. È il fantasma di un testo ed è il fantasma di un corpo che ci accompagna con la sua storia da più di 10 anni.
Per il teatro, oltre ad essere impegnato con lo spettacolo “Con il vostro irridente silenzio” stai portando in scena anche “Il male dei ricci – Ragazzi di vita e altre visioni” su Pasolini.
«Da quest’anno in alcuni teatri d’Italia ho iniziato ad alternare questo lavoro con Il male dei ricci- Ragazzi di vita e altre visioni, lavoro che ho curato negli ultimi 20 anni con Paolini, proprio perché il corpo di Moro e quello di Pasolini rappresentano non soltanto due figure straordinarie della nostra storia, ma due presenza fantasmatiche che si insidiano in una linea di passaggio tra due Italie, una prima Italia che va dal secondo dopoguerra alla fine degli anni ’70 e una seconda Italia che inizia negli anni ’80 e arriva ad oggi. Il corpo di Moro e quello di Pasolini sono sulla linea di confine, per questo è molto importante per me riannodare i fili della memoria».
Dopo il successo riscontrato al Salone del Libro di Torino, a distanza di anni in che tipo di reazione queste parole suscitano dal pubblico?
«Io lo definisco un vero e proprio esperimento teatrale, un po’ come un esperimento scientifico. Si mette al centro della scena un meteorite che viene da un altro tempo e da un altro spazio, per misurare ogni sera, attraverso i corpi dei cosiddetti spettatori – che per me non sono spettatori ma parte di questo rituale scenico – se alla fine dello spettacolo questa specie di meteorite, nel mio caso le carte di Moro, sono ancora in grado di produrre una temperatura e un campo magnetico in grado di toccare profondamente i nostri corpi. A mio parere credo che il tempo sia sempre molto relativo. Il 1978 da un certo punto di vista non è un’epoca così lontana, eppure rispetto al presente ci sembra un tempo lontanissimo, in cui ci sono nomi, volti di persone che non ricordiamo più che sembrano appartenere ad un passato, ma che in realtà sono legati profondamente al nostro presente. Il problema è che abbiamo perso il rapporto con la nostra memoria. Come se ci avessero suggerito negli ultimi decenni, di vivere in una sorta di eterno presente, che non ha niente a che vedere con il proprio passato. Siamo in un’Italia nuova, fatta da uomini nuovi e la memora spesso ci è stato detto che è qualcosa di ingombrante, di faticoso, di divisivo, questo è stato l’ultimo termine sconcio coniato negli ultimi anni. Io credo che se non abbiamo la pazienza di riannodare i fili della memoria, questo eterno presente continuerà ad apparirci come una specie di incubo incomprensibile.
Con il vostro irridente silenzio è un titolo forte ma altrettanto significativo…
Quelle carte, parliamo di un centinaio di lettere, assumono un valore di straordinaria importanza che va sotto il nome di Memoriale Moro, che sono tutte le risposte che Moro diede nel cosiddetto testo rivoluzionario che gli veniva intentato nella prigione del popolo durante i 55 giorni. L’insieme di queste carte è di un’importanza assoluta. Queste carte avrebbero meritato di diventare patrimonio collettivo di un’intera comunità, studiate nelle scuole, nelle università, perché sono un documento sconcertante, spiazzante, imprevedibile. Eppure queste carte sono come sprofondate in una specie di oblio. Il titolo che io ho scelto Con il vostro irridente silenzio, che è una frase che Moro scrive in una delle ultime lettere al Segretario della DC Zaccagnini: “Con il vostro irridente silenzio avete offeso la persona e la mia famiglia”. Moro era distrutto dal fatto che tutto quello che scriveva, non solo non veniva ascoltato, ma veniva mistificato. Infatti sostenevano che non era Moro a scrivere, poiché plagiato, era vittima della sindrome di Stoccolma. Questa fu una delle torture più grandi inferta a Moro. Ogni sera in teatro, attraverso la voce di un fantasma queste carte tornano ad interrogarci sul nostro rapporto con la memoria».
Hai incontrato la figura di Moro diverse volte nella tua carriera?
«La prima volta in assoluto è stata con il regista Marco Tullio Giordana, con cui avevo precedentemente lavorato ne La meglio gioventù, ed in questa occasione nel film Romanzo di una strage, dove Moro all’ora Ministro degli Esteri, appare in alcune sequenze. Quella è stata la mia prima volta che mi sono confrontato con questo personaggio. La seconda occasione è stata quella al Salone del Libro di Torino, mentre la terza occasione è stata quando Marco Bellocchio (n.d.r. con il quale ha lavorato in Fai bei sogni e Rapito) che aveva visto nel frattempo lo spettacolo, mi propose di interpretare Moro nel progetto televisivo e cinematografico Esterno notte. Adesso continuare a portare di nuovo in scena questo spettacolo, dopo Esterno notte, gli dà ancora un’altra vita, perché il mio corpo ha la memoria anche di quel lavoro cinematografico e si è arricchito anche di quell’esperienza, quindi quello che io porterò a Napoli è il risultato di un percorso che dura da più di 10 anni, corpo a corpo con una delle figure più importanti e centrali del novecento italiano».
Tu sei nato artisticamente sulle tavole del palcoscenico. Il teatro possiamo dire che è parte di te. A distanza di anni possiamo dire che anche il cinema è diventato un punto forte nella tua carriera. Entrambi riescono ad emozionarti ed entrambi riescono a farti esprimere la tua arte…
«Sono due lavorii magnifici nella loro diversità. Quando mi chiedono cosa preferisci e un po’ come chiedermi se voglio più bene a mia madre o a mio padre. La passione che ci metto è la stessa. Il teatro, come dicevi tu, è la mia casa dove sono nato. Io mi ritengo un uomo di teatro e cerco di non lasciarlo mai per più di qualche mese, perché è proprio un esercizio vitale. Quando sto in teatro respiro meglio, sto meglio fisicamente, perché credo che il teatro in questo periodo sia tra i pochi luoghi rimasti, se non gli unici, dove c’è ancora un livello di ascolto, di silenzio, di comunicazione emotiva che passa attraverso l’esperienza di corpi. I teatri sono luoghi preziosissimi, sono piazze aperte sulla città, sono dei polmoni verdi in questo momento in cui abbiamo terribilmente bisogno. Il cinema è altrettanto bello, ma ovviamente ha una caratteristica diversa. Quello che accade in teatro, accade lì per una volta, ed ogni sera è uno spettacolo diverso. Sono 30 anni che faccio questo lavoro e per me il concetto di replica non esiste. Ogni sera c’è qualcosa di nuovo, ma non perché un attore non reciterà mai nello stesso identico modo, questo è anche vero, ma soprattutto perché cambiano i corpi degli spettatori e quei corpi sono in grado di modificare e orientare l’andamento di uno spettacolo».
Altri progetti?
«Oltre al teatro, mi vedrete nella quarta e ultima stagione della serie L’Amica geniale, nei panni dell’odiatissimo Nino Sarratore. Un personaggio di cui ho scoperto le implicazioni fortissime che ha nell’immaginario femminile, non sapevo in che guai mi ero cacciato (ride n.d.r.). Questo rappresenta il mio primo lavoro di lunga serialità, non lo avevo mai fatto. Ho finito le riprese di un film di Francesca Comencini per il cinema, a cui tengo molto, dove interpreto Luigi Comencini, il papà di Francesca.