Arrivando… ma come? Un titolo in bilico tra ironia e stupore, tra visioni allegoriche e sensazioni fanciullesche. E il disco e così che si sviluppa, tra un suono che gioca ed un suono che al futuro guarda con distopia. Il progetto bolognese degli Unkle Kook approda al disco “Coming in Bunches” che dalla copertina dimostra di volerci ingannare: colori accesi per far da bandiera ad un suono surf che però nasconde tantissimo altro dentro queste tracce di pura e visionaria libertà. È un disco difficile: per le nostre abitudini, con quel “modo di fare jazz” che rende possibile ogni cosa pensabile.
Sembra quasi che il disco sia un gioco, una presa in giro a certi stilemi. Parto da qui. A voi la palla…
Il disco è esattamente un gioco! è il nostro primo disco ed è nato giocando tra le improvvisazioni e lo stimolo dato da un suono specifico. Spesso il gioco è proprio quello di forzare certi stili musicali, mettere un tempo dispari o tagliare qui e là un quarto è un modo per aprire certa musica che altrimenti rimane incastrata in anni andati. Probabilmente non è una presa in giro ma assolutamente il revival non ci piace.
Canzoni che – ci dite voi – permettono di immaginarsi un film. Il vostro personalissimo film?
Un film muto, divertente e pittorico al tempo stesso. I colori e la fotografia li determina la musica. Un film al contrario, la colonna sonora esiste prima della regia.
Le rane verdi in pieno deserto in fila indiana? Ci leggo: massificazione chimica, sociale, omologazione e tanto altro. Mentre attorno regna il deserto…
Non le chiamerei rane, anche perché nel deserto la sopravvivenza delle rane la vedo complessa visto il loro attaccamento all’acqua stagnante. Il soggetto in copertina è un deserto invaso da lucertole. Un deserto libero da ogni essere vivente. Le lucertole sono l’unico essere sopravvissuto ad una catastrofe. Chissà che non riescano a fare meglio dell’essere umano.
Che poi ci sono momenti come dentro “Astro” che sembrano venir fuori dal disco… ricerca e distopia… o sbaglio?
Distopia sicuramente, il suono scappa dal disco portando all’esasperazione il feedback di un delay analogico. Nel brano rappresenta proprio l’atterraggio in un mondo distopico, non si sa se è un nuovo pianeta o un ritorno al pianeta di origine ormai sgretolato nel linguaggio e nelle culture. Una sorta di regressione antropologica.