Artista poliedrico e psicologo, Paolo Fiorentino, il prossimo venerdì 10 novembre porta in scena al Teatro Auditorium Salvo d’Acquisto, un lavoro complesso e affascinante dal titolo “Sott’ ’a maschera”.
Si tratta di un inedito spettacolo di teatro-canzone che esplora i temi della libertà, dell’amore e della difficile ricerca della verità.
Un dialogo tra ’O Pazzariello e un principe cantastorie del Seicento che un incantesimo ha fatto ritornare in vita dal passato, interpretati dallo stesso Fiorentino – che cura anche la regia del video insieme a Mauro Casotti – e da Salvatore Iermano.
Dodici canzoni raccontano storie, di giovani e bambini protagonisti di migrazioni, di esperienze di disagio sociale, di amori difficili o meravigliosi, ma soprattutto di speranza.
I brani, di cui Fiorentino ha scritto parole e musica sono: “Napoli Blues”, “Sott’a maschera ’e Pullucenella”, “A Maddalena”, “Maestrale”, “Anticorpi”, “Omm bell”, “A tiempo a tiempo”, “A te nisciune te ferma”, “Adnan”, “Parl’ cu me”, “’A cundanna”, “’A verità”, tutte con la produzione di Roberto Vernetti. La post produzione musicale e la direzione artistica sono a cura del pianista Piero De Asmundis. La programmazione nella fase di pre-produzione è a cura di Claudio Fagnani.
In palcoscenico ad affiancare Paolo Fiorentino (voce e chitarra), ci saranno Agostino Mennella (batteria), Dario Franco (basso), Alessandro Tedesco (trombone), Gianluca Capurro (chitarra), Federico Luongo (chitarra), Paolo Zamuner (piano e tastiere), Rubina Della Pietra (voce), Sara Renèe Piccirillo (voce), Peppe Fiscale (tromba), Gianni Minale (sassofono). La regia video è curata da Mauro Casotti, i costumi teatrali sono dell’antica sartoria Canzanella. Trucco e parrucco: Tiziana Passaro.
Come nasce il progetto “Sott’ ’a maschera”, in programma venerdì 10 novembre al Teatro Auditorium Salvo d’Acquisto?
«Nasce dal desiderio di comunicare al pubblico una serie di questioni che non potevano essere risolte solo nello spazio breve di una canzone. Si tratta di tematiche che riguardano la responsabilità personale, la capacità di sentirsi liberi in un mondo che crede di essere libero. Il teatro mi è venuto in soccorso per dare più spazio al pensiero. L’evocazione della statua della libertà, che a molti sembrava connessa ad una propaganda dell’americanismo richiedeva una maggiore riflessione che una canzone come sott’ a maschera non può chiarire. Lady Libety non ha niente a che vedere con una certa visione del potere che s’impone con la violenza, ma è sostanzialmente un simbolo dell’ accoglienza, dell’ospitalità. La statua della libertà è New York che rappresenta un incontro tra l’Europa e il nuovo mondo. Non ha niente a che vedere con la mentalità etnocentrica dell’americanismo. La sua origine affonda nel mito è una delle figurazioni della Grande Madre, in particolare rimanda a Xenia la Dea dell’accoglienza».
Protagonista dello spettacolo è Napoli
«Sì, ma facendo indossare la maschera di Pulcinella a Lady Liberty, come ho detto, ho creato una inedita connessione tra quella che è la tradizione napoletana, rappresentata da Pulcinella e il mondo nuovo di cui New York è l’espressione con la sua capacità come Napoli di creare integrazione tra le culture. Anche se sono convinto che il Melting Pot è nato a Napoli (ride)».
Sul palcoscenico dell’Auditorium Salvo D’Acquisto porterai dodici canzoni che raccontano storie di giovani e bambini che sono protagonisti di migrazioni, esperienze di disagio sociale, di amori difficili.
«C’è una storia in particolare, quella di Adnan, che è la storia di un bambino rifugiato siriano che ho accolto in psicoterapia, faccio questo lavoro da molti anni. Durante una seduta, ad un certo punto chiesi a questo bambino: “Ad Homs giocavi con altri bambini?”. E lui mi rispose: “A Homs c’erano bambini morti e non ancora morti”. Quando ascolti questo, tutto ciò che riguarda l’immagine mediatica della guerra assume improvvisamente una sorta di corposità psicologica, psichica, etica che ti scuote terribilmente. Nonostante sia abituato a vedere certe situazioni cliniche estremamente gravi, sentire un bambino, che nella tua stanza di ‘professionista’ ti racconta la sua esperienza con la morte facendoti cogliere la disumanità della guerra non è come vedere in tv una cronaca di un raid aereo nel medio oriente. La guerra quando sacrifica i bambini annuncia la morte del futuro. Questo dolore e il dramma di quella famiglia siriana mi ha gelato. Ho sentito il bisogno di comunicare questa mia esperienza, perché in questo modo mi ha aiutato a capirla e a digerire questo dolore. Anche se un crimine così terribile non credo sia perdonabile. La canzone nata dall’ascolto di questa storia è Adnan.
Ogni brano racconta una storia…
Ci sono storie che riguardano Napoli ed io mi sono messo in una posizione molto distante da quello che chiamo il folclore camorristico. L’esaltazione di una identità para-delinquenziale o delinquenziale che involontariamente viene trasmessa da una certa stampa che adora la ‘cronaca nera’. Questo tipo di ‘para-letteratura’ alimenta in qualche modo modelli negativi a cui i giovani aderiscono. Ad esempio, attraverso il brano ‘A cundanna racconto una storia di redenzione, quella di un ragazzo che ha gambizzato una persona nel suo quartiere, un adolescente che nel momento in cui si innamora e scopre che la sua compagna aspetta un bimbo ad un certo punto lui decide di cambiare vita. Per me l’arte è un messaggio di speranza, non può essere un messaggio di contenuti negativi e basta. Ci vuole una parte che costruisce non solo una che demolisce e sguazza nei veleni del male. Porto avanti una battaglia personale rispetto ad una visione dell’arte come possibilità di redenzione. La cronaca nera non ti aiuta a pensare, il fatto di cronaca nera non è la verità. In una canzone intitolata La verità ho cercato di aiutare a comprendere come possiamo avere un rapporto con la verità. Oggi si parla di relativismo culturale, sembrerebbe quasi che non sia più possibile rintracciare la verità, la verità nei rapporti umani, nell’amore, nelle relazioni. La verità forse pretende molto da noi, pretende di essere disvelata, perché si nasconde e si nasconde non solo ai venditori di morte, ma si nasconde anche alle persone che non hanno il coraggio di leggerla, che non hanno il coraggio di difendere la propria unicità, la propria identità. Ci possiamo approssimare alla verità non possiamo afferrarla. E’ necessario tollerare questa dimensione d’impotenza. E’ il discorso della conoscenza sia in filosofia che in psicoanalisi. Oggi parliamo tanto di Lgbtq, io credo che questa questione oltre ad essere una questione di grande rilevanza dal punto di vista delle trasformazioni per quanto riguarda la libertà di genere è una questione che ci fa riflettere su chi siamo, che cosa vogliamo e chi vogliamo essere. Un tempo il dilemma era essere e non essere, oggi è dare per avere. Tutto viene dato in cambio di qualche altra cosa e noi stessi diventiamo prodotti. Siamo convinti di essere liberi di circolare come merci, turisti, però poi in realtà ci sono profonde catene inconsce che ci impediscono di essere noi stessi Lamentarsi di questo non serve a rompere queste catene abbiamo bisogno di fare un profondo lavoro su ciò che non siamo a riusciti ad elaborare non solo come individui ma anche come città, stati, culture. Napoli a me sembra ancora un luogo dove questo è possibile, ma lo imparo più dalle persone comuni, da chi ha avuto la tragedia di finire in carcere, dai tossicodipendenti che non dagli intellettuali ancora troppo distanti dalle nuove culture di massa.
Di questi brani hai scritto parole e musica durante questo spettacolo teatrale i brani non saranno eseguiti con una sequenza ma in una forma di spettacolo teatro canzone.
«Sì, tutta la musica è live. Sul palco mi accompagneranno dieci musicisti alcuni eccellenti jazzisti come ad esempio Alessandro Tedesco alla tromba o Paolo Zamuner un pianista colto e versatile. Inoltre chi ha prodotto il mio primo disco Decantare, e che ora ha la direzione artistica dello spettacolo è Piero DeAsmundis, ottimo pianista che ha suonato in auel disco insieme a Daniele Sepe. Mentre il produttore di questo nuovo disco è Roberto Vernetti. Sono contento di aver realizzato questo progetto perché ho incontrato persone straordinarie come Roberto, il quale fa in modo che l’artista si renda conto di ciò che è importante nel suo lavoro. Ed è come se facesse emergere la verità dell’artista dalla produzione che lui sostiene. Lui utilizza una modalità maieutica, non è mai intrusivo e non si sostituisce all’autore. E’ nata un’amicizia profonda al punto che stiamo pensando di scrivere un libro su alcuni temi dell’estetica contemporanea come produzione musicale, design sonore e psicoanalisi».
La prima tappa sarà al Teatro Salvo D’Acquisto. Ci saranno altre date?
«Lo spettacolo è una riduzione e una rielaborazione di tematiche che in un primo momento andavano all’interno di un musical, il cui copione è stato letto sia da Lello Arena sia da Marisa Laurito. Mi preme sottolinerare che ogni canzone ha un carattere ‘teatrale’ è stata pensata per la scena e per vari interpreti. Ho scritto come ha fatto De Andrè quando ha composto Prinzesa o Don Raffaè immedesimandomi con personaggi lontani dal mio mondo. LE mie non sono canzoni della mala. Ripeto sono canzoni di speranza. Volevo portare avanti il musical ma non abbiamo trovato i fondi, quindi ho realizzato una produzione diversa, sempre teatrale ma con video che si alternano al concerto. Utilizzando il genere dell’egloga che appartiene al teatro edificante (ma ne troviamo una forma in Giambattista Basile augore de Lo cunto de li cunto. A proposito de il cunto avevo in mente particolare u egloga contenuta in quel testo napoletano La coppella che cerca di comprendere il carattere di alcuni tipi umani. Ed ancora ho pensato al cantastorie di Ferdinando Russo ma si tratta di materiali che mi hanno ispirato che non ho utilizzato se non in qualche passaggio. Così come Pulcinella, Lady Liberty, ‘o pazzariello, Basile e tanti altri si sono presentati alla mia anima e non ho potuto non rispondere al loro richiamo. Un artista è uno strumento nelle mani del mito. Può solo ascoltare e trasmettere la verità che il mito può solo evocare».