«Stasera non abbiamo assistito né a uno spettacolo, né a una recita ma a una visione». Ruggero Cappuccio Direttore Artistico del Campania Teatro Festival
Ieri sera, presso il Teatro Politeama, nell’ambito del Campania Teatro Festival, i numerosi spettatori intervenuti hanno potuto assistere alla messa in scena di uno dei testi più interessanti del drammaturgo francese Bernard-Marie Koltès (Metz 1948-Parigi 1989) dal titolo In the solitude of cotton fields scritto nel 1985 per la regia di Timofey Kulyabin con John MalKovich e Ingeborga Dapkunaite.
Due personaggi, identificati come il Venditore e l’Acquirente, si incontrano per caso in un non menzionato luogo. Gli intensi scambi verbali tra loro sono studiati per evitare che il pubblico comprenda da subito l’oggetto della trattativa ma è chiaro che la posta in gioco è molto alta.
La conversazione si fa sempre più intensa ed include “immagini animali e avvertimenti obliqui ed ostili, ad alto numero di ottani, sessualmente carica”, come ha rilevato Jason Zinoman in un articolo apparso sul New York Times del 2012. L’Acquirente rifiuta la transazione e il pubblico a poco a poco comprende che l’oggetto del commercio è la lussuria, uno dei sette peccati capitali e riconosciuto come criminale da qualsiasi società, secondo le leggi di oggi.
I due personaggi, entrambi fragili e ripiegati su se stessi e le proprie convinzioni, sono in lotta tra loro.
Nel vedersi e nel riconoscersi come in uno specchio, si fanno strada a poco poco le pulsioni dell’inconscio,la nostalgia di un candore perduto simboleggiato sulla scena da una costruzione in mattoncini multicolori sulla quale scende lieve ed implalpabile la neve e ancora una serie di cinture da uomo che il Cliente fa schioccare ripetutamente e nel bagno , dove all’inizio si è masturbato un uomo, un rasoio che mette fine al dialogo.
Ecco alcune note di regia: «Il testo di Koltès è molto denso, verboso, pieno di allusioni, immagini poetiche e complessi intrecci. L’autore sembra voler confondere lo spettatore piuttosto che aiutarlo a comprendere il conflitto. Non è immediatamente chiaro che l’oggetto del commercio sia la lussuria il cui argomento è proibito ma irresistibile. Il nostro spettacolo parla di perversione sessuale , di un desiderio nascosto che è punibile. Siamo nel subconscio , nell’incubo di qualcuno che non è fisicamente in scena .Vive in una terribile disarmonia interna perché ha capito che il suo desiderio sessuale è di natura criminale. Ma questa è la sua natura e non può combatterla . Vorrebbe ammetterlo a se stesso ma non può perché è spaventoso e pericoloso. Siamo di fronte a un uomo che lotta senza sosta con se stesso. E’ una proiezione della sua coscienza, un incubo in cui cerca di venire a patti. Lo spettatore a poco a poco si rende conto che si tratta di un monologo interiore di una persona che si scompone in un dialogo, l’ultimo dialogo prima della tragedia».
La straordinarie capacità recitative e duttili di John Malkovic e Ingeborga Dapkunaite conferiscono al testo di Koltès un ulteriore motivo di abbellimento così come l’allestimento che vede coinvolti cinque videografi che lavorano online contemporaneamente e che rimandano allo spettatore effetti video e primi piani intensi dei volti degli attori.
Al termine della rappresentazione Ruggero Cappuccio, il fratello dell’autore e i due interpreti si sono resi disponibili alle domande del pubblico presente in sala.
Ruggero Cappuccio ha parlato dell’importanza del teatro come momento catartico nella sua duplice funzione di religione politeistica e politica. Attraverso il teatro si sogna e dai sogni prendono vita le storie che vengono rappresentate e che costituiscono una parte importante del nostro essere umanità. Inoltre ha fatto riferimento a Michel Foucault, in particolare al suo saggio Le confessioni della carne, pubblicato postumo dove si parla di disumanizzazione e di azzeramento del desiderio che rende prigionieri i giovani d’oggi perché coniugato con il danaro.
Il fratello dell’autore ha poi detto che l’opera più significativa è forse La notte poco prima della foresta del 1977 rivelando ai presenti che Bernard aveva bisogno di vivere, di viaggiare e che i suoi autori preferiti erano Shakespeare, Mariveaux, Cekov. Per quanto riguarda la genesi de Nella solitudine dei campi di cotone pare che l’autore avesse assistito ad un litigio tra due marocchini. Non comprendendo la lingua Koltès ne ha fatto una propria costruzione conferendo alle parole potenza e mistero.
Numerose le domande rivolte a John Malkovic.
Quale è il suo rapporto con la città di Napoli?
«La prima volta negli anni’80 ma sempre per breve tempo e non la conosco bene. In compenso ho trascorso lunghi periodi a Roma dove ho girato con Paolo Sorrentino la serie televisiva The New Pope ma anche a Firenze e a Prato. Ciò che mi lega di più all’Italia è mia moglie perché è italiana». (N.d.r. Nicoletta Peyran, conosciuta sul set del film di Bernardo Bertolucci Il tè nel deserto e madre dei suoi due figli: Loewy e Amandine).
Lei è principalmente un attore di cinema. Che rapporto ha con il teatro?
«Già da ragazzo ho frequentato corsi di recitazione e ho fondato una compagnia teatrale. Come sa sono anche regista e produttore teatrale. Il mio rapporto con il teatro non si è mai interrotto».
Ci può parlare un po’ dello spettacolo e della sua compagna di viaggio?
«L’idea è nata durante la pandemia. Abbiamo lavorato via Zoom ed ho scoperto tutta la bellezza e la potenza di questo testo. Abbiamo debuttato a Riga ed è quasi superfluo dire che ho lavorato bene e in sintonia con Ingeborga perché abbiamo fatto già un’altra cosa insieme».
Quanto c’è di John Malcovic nel personaggio di stasera come attore e come uomo?
«Quando preparo un personaggio lavoro essenzialmente su me stesso, su quello che sono. Ovviamente il testo si presta a numerose chiavi di lettura ed è elegante e potente ma non sta a me fornire risposte al pubblico. Io posso lavorare soltanto su me stesso con la speranza di aver dato il meglio».