«L’arte decide la nostra identità:chi la produce cerca sempre uno specchio, un qualcosa in cui rivedersi» Michelangelo Pistoletto
Michelangelo Pistoletto è stato ospite della Fondazione Foqus per presentare il suo ultimo scritto intitolato La formula della creazione (pag.352 Ed. Cittadellarte), dialogando con Renato Quaglia direttore della Fondazione e con Luca Trapanese assessore alle Politiche Sociali del Comune di Napoli.
In 31 passi l’artista biellese, classe 1933, racconta il percorso umano ed artistico che lo ha portato a definire la formula della creazione da lui stesso chiamata anche la formula della vita il cui simbolo evidenziato sulla copertina del volume è una rielaborazione di quello dell’infinito.
Esponente di spicco dell’Arte povera e della ricerca sull’autoritratto conclusasi con i famosi Quadri specchianti, Michelangelo Pistoletto ha fondato nella sua Biella la Cittadellarte «un luogo fisico, un’idea, una visione, un progetto, una comunità per ispirare e produrre un cambiamento responsabile della società attraverso idee e progetti creativi, uno spazio per artisti e scienziati, attivisti, imprenditori e rappresentanti del mondo istituzionale, una vera e propria casa d’arte, vista come strumento di trasformazione sociale responsabile».
Con l’entusiasmo di un ventenne e la saggezza dei suoi anni, Pistoletto ha catturato l’attenzione dell’uditorio presentando la sua utopia con parole lapidarie da epigramma e non si è sottratto alle domande dei relatori e del folto pubblico intervenuto.
Il primo passo del libro è dedicato alla sua famiglia. Cos’è per lei oggi la famiglia ?
«Ho iniziato ad essere artista nel ventre di mia madre. Mio padre all’epoca fu chiamato a realizzare degli affreschi sulla lavorazione della lana per la Zegna di Biella e alla fine di questa commissione ci trasferimmo a Torino. Lo studio di mio padre era anche la nostra casa. Io sentivo l’odore della pittura ed altri odori si mescolavano ad esso come l’incenso o quello del cibo. Mio padre dipingeva nature morte e mia madre poi cucinava quello che il marito aveva ritratto. Tutti oggi vogliono essere intervistati e sono felici per questo. Io domando sempre cosa facevano i loro nonni e i loro genitori perché il passato è importante come lo è riconoscersi attraverso gli altri».
I giovani d’oggi sono attratti dagli oggetti, dalle cose materiali. Si parla poco di spiritualità. Qual è la strada per riconoscerla?
«Io ho trovato la spiritualità nell’arte. Tante volte mi sono chiesto: se mio padre non fosse stato un pittore, io sarei diventato un artista? Spesso è un caso e nella nostra vita non c’è nulla di pre-organizzato o di pre-definito. Bisogna affidarsi al caso anche se esso può essere guidato. Mi spiego. Il logo sulla copertina del libro può essere inteso come un campo di calcio. I due cerchi laterali ospitano le due squadre e in quello centrale c’è la palla. Entrambe le squadre vogliono segnare un gol e per farlo c’è bisogno del talento di ogni singolo giocatore. Nell’antica Roma la posta in gioco era la vita umana e penso ai gladiatori. Il calcio oggi è un grande rito spirituale e la religione, come io l’intendo, deve unire. La spiritualità è quindi esprimersi al meglio nel bisogno dell’altro in un equilibrio vivo e dinamico. Anche la politica dovrebbe farlo».
Cos’è la creatività?
«Ci troviamo a Napoli e alla Corte di Foqus che spiega da sé cosa sia la creatività. Il processo creativo richiede un’assunzione di possibilità e di responsabilità».
Non riconoscere la disabilità è un problema culturale. Le persone disabili, nonostante le apparenze, vengono emarginate e trattate come scarti di umanità e non si danno risposte concrete e adeguate alle loro necessità. Cosa ne pensa?
«La disabilità è riconoscibile e la miserabilità dell’esistenza non viene riconosciuta in un mondo che ci vuole quasi perfetti. La disabilità deve essere vista come un’opportunità creando dei legami tra le leggi e gli affetti. E poi bisognerebbe riacquistare il valore della solidarietà. Se gli altri stanno bene, sto bene anch’io».
Oggi, nonostante i social, ci sentiamo soli e ne soffriamo. Quali riflessioni possiamo fare in merito?
«Siamo pronti sempre a protestare mentre invece dovremmo fare delle proposte per risolvere qualsiasi problema. Vedo la protesta come una richiesta di potere mentre invece le accademie, le scuole dovrebbero insegnare a formulare delle proposte. Anche la critica se è fine a se stessa non produce effetti di cambiamento».
Nel volume lei parla di “sistema monastico”. Vogliamo parlarne più diffusamente?
“Oggi il Vaticano ha preso il posto dell’Impero romano ed ha un potere immenso. La croce è simbolo di sacrificio e dai tempi di Costantino i soldati si sono sacrificati. Ma forse assistiamo di nuovo ad una spaccatura tra il pontefice romano e un Papa russo, Putin. Bisognerebbe ritornare al monachesimo perché la chiesa si basa sulla gerarchia mentre il convento è democratico. I monaci si riuniscono nella sala del capitolo e discutono. Anche dopo la caduta dell’impero romano i monaci hanno svolto un lavoro enorme nelle loro comunità anche dal punto di vista dell’economia».
Che cosa è il Terzo Paradiso?
«Paradiso è un termine che nasce dal persiano e significa giardino perfetto. Il Primo Paradiso è la natura e noi eravamo pienamente integrati con essa. Il Secondo Paradiso è quello artificiale che abbiamo creato con il morso della mela. Basti pensare che nel XX° secolo abbiamo investito in materiali che hanno deteriorato la Terra per esempio l’estrazione del petrolio e la plastica che inquina. Il Terzo Paradiso è la fase della rigenerazione del rapporto tra l’umano e la natura. La formula della creazione fa nascere una persona nuova, quella del futuro».
Quale è il compito dell’artista e quale il significato più profondo dell’arte?
«Il significato dell’arte è legato alla ricerca dell’identità dell’essere umano. L’arte deve intervenire e non limitarsi ad essere memoria. Il Terzo Paradiso richiede apertura, dialogo, decisioni condivise. L’arte deve connettere. Bisogna creare un nuovo mondo dove la ricchezza, i beni prodotti non siano nelle mani di pochi. Nel Quadro Specchiante non ci sono solo io ma anche gli altri».