Rosa Chemical, per la prima volta in gara alla 73esima edizione del Festival di Sanremo, presenta “Made in Italy”. Scritto da Manuel Franco Rocati (Rosa Chemical) e Paolo Antonacci, composto da Oscar Inglese e Davide Simonetta e con la produzione di Bdope e Simonetta, il brano è una provocazione che racchiude al suo interno tutta l’essenza e l’irriverenza prorompente dell’artista. Di seguito quanto dichiarato da Manuel Franco Rocati nel corso della conferenza stampa.
Parlaci della tua esperienza al Festival di Sanremo
«Non mi aspettavo assolutamente questo riscontro da parte del pubblico e della critica. È andato tutto oltre le aspettative. Questo è un Festival che si è dimostrato aperto, libero, di larghe vedute e soprattutto pronto ad un messaggio forte, come quello di un nuovo tipo di amore, un nuovo tipo di sesso, un nuovo tipo di italianità. Dopo la mia prima esibizione ho pianto tantissimo, perché era un po’ che non mi succedeva di lasciarmi andare così tanto. Sono stati anni difficili con il covid, specialmente per me che vivo l’arte in maniera molto compulsiva. Tre anni di fermo, dove la vita viene limitata a quattro mura, tornare a poter trasmettere certe emozioni è stato per me qualcosa di unico, perciò ringrazio ancora tutti quanti».
Il tuo brano Made in Italy?
«Sesso. Libertà. Uguaglianza. Amore in tutti i sensi. E tutti a tavola!” Racconta Rosa Chemical “Made in Italy è questo: è pizza e tovaglia a scacchi, è Alex Mucci, creator numero 1 in Italia e simbolo di una piattaforma vittima dei pregiudizi, ma anche vino rosso e spaghetti. Made in Italy è piedi, con cui calpestare ciò che è generalista e che chiude tutto dentro una gabbia fatta di tabù. Made in Italy vuole liberarci dalle censure, dagli stereotipi e dal politicamente corretto. Come? Siamo i primi in Italia a svelare la cover ufficiale del brano su OnlyFans: la trovate da adesso sul mio canale; su Instagram invece una seconda versione, clean, nel rispetto delle policy dei canali con accesso ad un pubblico eterogeneo – anche in termini di età – che ho imparato ad utilizzare nel tempo».
Una canzone dedicata a quelli sono considerati sbagliati. A te è mai capitato?
«Mi è capitato che il giudizio delle persone fosse cattivo. Sono fortunato che in famiglia sono cresciuto con mia mamma, che mi ha sempre tirato su con le spalle larghe. C’è sempre stato amore nella mia famiglia, i miei valori infatti sono questi. Consiglio a tutte le persone di non considerarsi mai sbagliate. Alla fine la diversità penso sia da coltivare, infatti preferisco chiamarla unicità».
Come consideri la scelta di Amadeus di farti esibire in prima serata, in una fascia protetta, considerando le parole del testo?
«Lo considero un gesto ammirevole, che dimostra grande apertura mentale, una grande intelligenza, infatti, Amadeus è una persona fantastica. Si è dimostrato all’altezza di condurre un Festival incredibile, per questo lo ringrazio. Pensavo che le mie parole fossero molto difficili da comunicare e da far arrivare. Mi sono reso conto che dai più grandi ai più piccini, tutti hanno voglia di libertà, hanno voglia di sentirsi dire sii te stesso. Tanti hanno apprezzato questo e credo che sia questo il motivo del perché il messaggio sia arrivato un po’ a tutti».
Sei contento della tua posizione?
«Non sono venuto al Festival pensando alla classifica. Mi sarei accontentato anche dell’ultimo posto, anche perché adesso l’ultimo è il nuovo primo, basti vedere Tanai l’anno scorso o ancora Vasco in passato. Tutti gli ultimi prima o poi diventano primi».
Come nasce Rosa Chemical e come arriva alla musica?
«Mi sono reso conto di avere qualcosa di particolare quando andavo all’asilo, perché mi ricordo nel momento in cui i bambini dovevano dormire, io ero nella brandina e non riuscivo restare e scappavo via. Andavo a correre, disegnare, ma puntualmente mi riportavano nella mia brandina, mi lamentavo sempre, ero un bambino abbastanza vivace. Dalle elementari alle superiori non è cambiato molto, continuavo a dedicarmi al disegno. Sui banchi di scuola proprio non riuscivo a stare. Ho deciso quindi di lasciare la scuola, in terza superiore, per dedicarmi completamente all’arte. Non la consiglio come scelta. È vero che i giovani devono studiare, perché solo così uno si crea delle possibilità, però penso che non tutti debbano fare la stessa cosa. Io non me la sentivo di studiare. Ho mollato la scuola e mi sono chiuso in casa a studiare quello che mi piaceva. A me piaceva disegnare, mi è sempre piaciuta la grafica, il tatuaggio, quindi ho mollato tutto per dedicarmi all’arte in tutte le sue forme. Ho fatto un po’ di tutto. Mi piace cantare, scrivere, dipingere. Dopo un po’ mi sono trasferito a Londra, perché ho fatto il tatuatore per due anni a Torino, da un mio caro amico che mi ha insegnato una professione, ma però sentivo che non era la mia strada. L’ho fatto per due anni per poi sono partito per Londra per cercare ispirazioni. Appena sono arrivato ho speso tutti i miei risparmi per acquistare il mio primo set per registrare musica. Vivevo in appartamento con trenta persone di tutto il mondo. A Londra è iniziato il mio primo approccio alla musica in maniera del tutto creativo. Ho scelto la musica come mezzo di espressione. Ho pubblicato il mio primo Ep e da lì ho visto che le cose andavano bene e iniziavano ad ingranare nel verso giusto. Sono tornato in Italia e da lì è cominciato tutto il mio percorso. E poi è arrivato Sanremo».
Qual è la soddisfazione più grande che ti porti a casa?
«Sicuramente è il fatto di essermi sentito compreso, capito».
Cosa auguri a questa canzone?
«Sicuramente che lasci il segno nel cuore delle persone. Un messaggio a prescindere da come andranno i numeri, le classifiche. Io mi auguro che il messaggio che volevo mandare arrivi e che la gente ne faccia buon uso».