Uscito per Echos Edizioni, ecco “Benedetto Avvocato”, il primo libro di Antonio Di Santo, professione avvocato, nel cuore scrittore di vita. La sua vita dentro un piccolo romanzo di provincia, la sua provincia, quella campana che vive a due passi da Napoli. E dunque Di Santo ci lascia immedesimarci nelle dinamiche semplici, quelle di ogni giorno, di un piccolo paese dove tutti si conoscono molto bene, dove i rapporti passano prima tra gli uomini che dalle carte di una burocrazia. E dunque l’avvocato diviene amico, confidente, depositario di segreti non solo professionali quanto anche di beghe emotive e confidenze da tener lontane alla pubblica piazza. Un libro che si lascia leggere con sincerità, credibilità e tantissima ironia… vi divertirete ad immergervi dentro la vita quotidiana di questo “Bendetto Avvocato”.
Un libro leggero che però dentro contiene uno spaccato di vita quotidiano che per molti tratti non è affatto leggero… vero?
Ho voluto raccontare le problematiche che affliggono la società contemporanea con un taglio ironico, e quindi leggero. Chi si rivolge ad un legale, di solito, ha un problema da affrontare, vuoi che sia la fine di una relazione sentimentale, vuoi che sia un problema di tossicodipendenza o di convivenza condominiale e tanto altro ancora. Tante maschere che fanno ingresso nell’enorme teatro rappresentato dalle aule del tribunale in modo diverso.
Restando sul tema: perché questa scelta di coprire di ironia e – appunto – leggerezza la vita giudiziaria di un avvocato di provincia?
La fase di scritturazione prende vita in un periodo storico infelice, la pandemia prima e la guerra in Ucraina poi sono eventi che inducono a ricercare momenti di spenseratezza e leggerezza. Il mio regalo per il lettore è quello di voler far comparire un sorriso spontaneo sul viso durante la lettura. Molti mi chiamano e mi ringraziano per averli fatti divertire e sorridere.
La provincia poi: porta con se dinamiche di vita che fanno storia a se. Pensi sia la provincia la vera protagonista di questo romanzo?
Diciamo la coprotagonista insieme alla professione di avvocato. La pandemia, la paura del contagio ci hanno fatto riflettere sulla bellezza di queste piccole realtà, territori, di respirare quanta ricchezza c’è in questi luoghi da dove, generalmente, soprattutto i giovani, tendono a scappare perché i servizi garantiti sono pochi o perché non si vedono possibilità di sviluppo. Abbiamo sempre sottovalutato le potenzialità di questi territori dimenticati, come spesso accade in Italia, alzare i tacchi e andare via è sembrata l’unica via d’uscita. In realtà in questi territori le possibilità sono infinite, soprattutto per la necessità intrinseca in questi luoghi nell’essere umano di associarsi ed essere comunità, di vivere con lentezza e assaporare ogni attimo che ci offre la vita quotidiana.
L’amore alla fine vince sempre ed è un degno finale di ogni libro. Figlio della casualità peraltro… quanto è importante il caso nella vita di ognuno di noi?
La casualità da sola non determina gli eventi ma deve trovare un terreno fertile, rappresentato da ciò che si è costruito con le proprie azioni, pensieri e relazioni. L’evento che si rappresenta è sempre a coronamento di un qualcosa che nel del tempo abbiamo cercato e voluto, anche inconsciamente.
Un primo romanzo che conduce a cosa? Una prova personale fatta per gioco e passione o il primo passo per un percorso dentro la letteratura?
Direi che il lockdown mi ha fornito la giusta occasione per far emergere questa passione fino a quel momento sopita. La fase di redazione del libro, infatti, è stata posta in essere in gran parte in quel periodo. È stato per me motivo di distrazione e riflessione in un periodo in cui il tempo sembrava lento. La dinamicità che contraddistingue la mia professione difficilmente mi fornirà un nuovo spazio temporale per coltivare questa passione. Chi vivrà, vedrà.