Nell’ambito della Rassegna Altri Natali, organizzata dal Comune di Napoli, nella sezione Stelle di Pace è stato presentato ieri, in anteprima nazionale, nella Sala del Capitolo del Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore, Il destino di Aghavnì, il nuovo libro di Antonia Arslan (Ed. Ares, pag.118).
Durante l’incontro, condotto da Donatella Trotta, ci sono state letture del testo a cura di Salvatore Guadagnuolo e Giuseppe Coppola di Agita Teatro, accompagnati dalla fisarmonica di Mari Zingarina.
Il libro della nota scrittrice di origine armena, racconta una struggente storia natalizia ambientata nell’Anatolia del 1915 , pochi giorni prima dell’inizio del genocidio degli armeni.
Aghavnì, una ragazza di appena 23 anni esce di casa con il marito Alfred e i due figlioletti per non farvi mai più ritorno. Sono fuggiti? Sono stati rapiti o uccisi? E da chi? Nonostante le intense ricerche nessuno sembra saperne qualcosa. Passano gli anni e il loro ricordo cade nell’oblio fino a quando l’autrice non ritrova per caso una vecchia foto di famiglia custodita da un suo lontano cugino che abita in America.
Con le sue doti da grande affabulatrice Antonia Arslan ci regala una nuova storia dal sapore antico, un racconto avventuroso di dolore e di coraggio, pervaso dalla speranza della rinascita.
Donatella Trotta , prima di presentare il libro, si è soffermata sulla vita di Antonia Arslan che, per i pochi che non ne fossero a conoscenza, è nata a Padova dove ha insegnato per molti anni Letteratura italiana moderna e contemporanea. Autrice di saggi sulla scrittura al femminile, si è riappropriata delle sue origini armene con un lento ma costante cammino culminato nel suo primo romanzo La masseria delle allodole del 2004 , diventato un film dei Fratelli Paolo e Vittorio Taviani nel 2009 e seguito da altre pubblicazioni di ottimo livello: La strada di Smirne, Il cortile dei girasoli parlanti, Il rumore delle perle di legno, Il libro di Mush, Lettera a una ragazza in Turchia, e l’antologia di scrittori armeni Benedici questa croce di spighe.
La nota giornalista de Il Mattino ha inoltre evidenziato come Antonia Arslan è da anni impegnata in conferenze, incontri, dibattiti, manifestazioni culturali per promuovere la conoscenza del popolo armeno e della sua storia nonché il Metz Yeghèrn ovvero Il grande Male, l’Olocausto degli armeni.
Antonia Arslan tra i tanti riconoscimenti, ha vinto nel 2017 il Premio Matilde Serao.
Come è nato questo libro?
«Prima di rispondere a questa domanda devo dire che torno a Napoli sempre molto volentieri. Studiavo ancora all’Università di Padova quando sono venuta la prima volta, avrò avuto meno di vent’anni e sono ritornata spesso, soprattutto quando un esame mi andava bene. Ho la sensazione di essere a casa e trovo Napoli una delle città più vicine a quelle dell’Oriente.
Questo libro nasce dal ritrovamento di una vecchia ed ingiallita foto di famiglia custodita da mio cugino che vive negli Stati Uniti. Lui aveva letto La masseria delle allodole e mi chiese di fargli visita nel 2012. La foto ritraeva tre giovani donne, le sorelle di mio nonno Yerwant, vestite in modo simile con degli abiti a quadrettoni tranne che per alcuni particolari : una aveva il colletto del vestito a punta, l’altra rotondo e l’altra ancora portava in vita una cintura.
Aghavnì, il cui nome significa Colombella, sorella minore di mio nonno, da quel momento non mi ha più lasciata. Credo che questo romanzo breve sia la continuazione, come lo fu La strada di Smirne per La masseria delle allodole, de Il libro di Mush dal momento che compare di nuovo il personaggio dell’Angelo Muto che veglia su queste creature martoriate, una presenza spirituale dispensatrice di serenità. In questo libro parlavo di come alcune donne scoprirono un libro miniato del 1202 tra le rovine fumanti di un vecchio monastero e decisero di salvarlo per tramandare ai posteri la cultura armena. Infatti oggi esso è visibile nella grande biblioteca-museo del Matenadaran a Erevan, in Armenia.
Attraverso una rigorosa indagine storica ho cercato di ricostruire la storia di Aghavnì ,lavorando poi di fantasia sull’ipotesi più realistica: il rapimento. Sappiamo che gli uomini venivano uccisi e le donne spesso venivano deportate nel deserto siriano nei pressi della città di Aleppo e nelle zone circostanti. Il progetto era di farle morire di stenti insieme ai loro figli. Ma il destino ha in serbo un finale diverso per Aghavnì».
Lei si è sempre preoccupata di parlare della banalità del Male dando risalto al Metz Yeghèrn . Come spiega Il Grane Male?
«Vede, le persone non sono cattive di per sé ma il Grande Male attecchisce perché si è spinti a demonizzare un gruppo etnico attraverso una propaganda continua e sistematica. Quello che è accaduto al popolo armeno, precede l’Olocausto degli ebrei che non si accorsero che il primo fu una sorta di prova generale contro il loro popolo. Lo intuì inascoltato già nel 1922 Rafhael Lemkin ,un giurista polacco di origine ebraica, che per primo coniò il termine genocidio.
A farne le spese sono stati soprattutto le donne, gli anziani, i bambini e tutte le persone fragili. Pare che anche Hitler avesse intuito di avere gioco facile con lo sterminio degli ebrei dal momento che nessuno si era accorto di quello armeno che è stato il primo genocidio della Storia. Non dimentichiamo che i tedeschi allora erano alleati dell’esercito ottomano. Ci fu anche un ufficiale tedesco che scattò oltre 150 foto per una documentazione visiva del Grande Male . Oggi ne restano 120 e rappresentano una delle prove inconfutabili degli orrori perpetrati nei confronti del popolo armeno».
I suoi libri rappresentano un monito per il presente.
«Certo, i libri ci parlano e possono trasformarci. È importante educare alla lettura fin dalla più tenera età. E soprattutto leggere ad alta voce. Leggere tutte le sere un capitolo di un libro a voce alta fa sì che si comprendano anche al meglio le sfumature del testo.
Ritornando al libro penso che il Natale e la magia del presepe possono essere colti anche da chi non è credente. Il presepe ha in sé qualcosa di misterioso e di molto caldo e voi napoletani avete una lunga tradizione presepiale che deve essere mantenuta e trasmessa alle nuove generazioni».
L’incontro si è concluso con la lettura di alcuni capitoli del libro e con una sorta di gioco tra i partecipanti che hanno dovuto mimare alcune frasi del testo in modo da rendere vera la riflessione di Federico Garcia Lorca: “Il teatro è poesia che esce da un libro per farsi umana”.