“Sono io George Sand” con Pavone Ritrovato Pandolfi a Napoli
“Sono io George Sand”, scritto e interpretato dall’attrice Anita Pavone,
e con le esecuzioni delle pianiste Maria Grazia Ritrovato e Mariella
Pandolfi, andato in scena nella Sala “Armonia Cordium” di piazza Museo Nazionale a Napoli.
“Sono io George Sand” è sbocciato dall’incontro di queste tre artiste campane, tra loro diverse ma accomunate da una forte tempra creativa, e in particolare dal sodalizio tra le due pianiste, classica la prima e
classico-jazz la seconda,
questo spettacolo trae le mosse da una precedente idea, avuta dalla stessa Ritrovato: quella di raccontare, inizialmente solo attraverso la musica, la storia della relazione tra la
scrittrice francese George Sand ed il compositore e pianista polacco Fryderyk Chopin.
Dopo di che ne è stata realizzata questa nuova versione, che unisce al format della fusione dei due stili musicali, il classico e il jazz,
una nuova drammaturgia curata appositamente dalla Pavone, che per questo ha svolto un’attenta ricerca delle fonti letterarie (di Chopin la Sand scrisse nelle lettere, nella sua Autobiografia e in
almeno un romanzo);
cui è seguita un’ altrettanto precisa reinterpretazione-ricreazione dello stile espressivo della drammaturga francese, peraltro notissima ma forse oggi un po’ dimenticata, almeno da noi.
In effetti chi fosse Aurore Dupin, in arte George Sand (Parigi 1804 – Nohant 1876), non sarà superfluo ricordare:
donna combattiva e dalla forte personalità anticonformista, ricca, nobile, proveniente dall’aristocrazia sopravvissuta alla Rivoluzione, divenne feconda
scrittrice e romanziera, ma fu anche una proto-femminista, vicina in politica alle posizioni socialiste e poi repubblicane;
fu anche spirito tardo-romantico, ma nella particolare accezione di una netta insofferenza alle logiche maschiliste del tempo e alle regole ipocrite
di un matrimonio combinato.
Da quel matrimonio (col barone Dudevant), da cui ebbe due figli (Maurice e Solange) ella alla fine fuggì, inventandosi, con lo pseudonimo, una nuova identità non solo letteraria ma anche “di genere”,
quel tipo mascolino che in effetti ben le si addiceva e che a noi appare quasi da “transgender” ante-litteram
(poi sul latente lesbismo della Sand, più presunto che reale, si è oziosamente discettato).
Il frac elegantemente indossato dalle tre artiste in scena, con tanto di sigari veramente accesi e fumanti, avrà appunto alluso a questa situazione.
Ciò del resto non precluse alla Sand di amare intensamente gli uomini e di aver avuto numerosi amanti maschi, finché non ruppe
definitivamente col marito,
per gettarsi in almeno due successive importanti relazioni, prima con lo scrittore de Musset e poi, appunto,
con il musicista Chopin.
La storia con il musicista polacco (1810 – 1849) iniziò intorno al 1837, al tempo in cui Chopin era già celebre come pianista ma malato di tisi e reduce a sua volta dalla rottura del fidanzamento
con la contessina Wodzinska, e durò poco meno di dieci anni.
Essa ha rappresentato il cuore della vicenda narrata in “Sono io George Sand”, dove non si è mancato di sottolineare che in quella
vicenda il lato “fisico” fu minoritario,
e che tra i due sicuramente era più alta la sintonia mentale ed artistica, che non quella dei corpi, o
che ancora al di sopra di tutto pare vi fosse una sorta di legame materno-filiale,
come se il musicista si fosse trovato bene, almeno all’inizio, nei panni del figlio “aggiunto” ai due che la donna già aveva.
Queste considerazioni psicologiche, piuttosto che quelle politiche ispirate al filone proto-femminista della Sand, ci hanno
maggiormente colpito in “Sono io George Sand”,
e secondo noi rappresentano la componente più “modernista” della scrittura della francese.
Parte dunque la musica, con il mestissimo Valzer op. 69 n. 1, alternato tra le due pianiste:
una trovata interessante, ripetuta
anche dopo, con il Preludio n. 20, utile anche per mettere subito a fuoco le differenze di approccio esecutivo;
e con esso, insieme all’altro bellissimo Valzer (op. 64), parte anche la narrazione.
La relazione ebbe inizio perché, come molte signore e signorine dilettanti di musica, anche la Sand era affascinata dal grande
pianista e
fu per questo che lo invitò una prima volta nella sua lussuosa residenza di Nohant.
Pare che all’inizio Chopin si sottraesse alle avances della donna, per poi tuttavia cedervi, seppur brevemente e forse senza neanche particolare trasporto,
il che scatenò una quantità di pettegolezzi e aneddoti vari nel già frivolissimo mondo musicale parigino.
Poi ci fu il viaggio compiuto insieme a Palma di Maiorca, località quanto mai esotica per uno come Chopin, che in quel periodo si
portava appresso montagne di spartiti di Bach e lavorava ai propri Preludi op. 28.
Questo “esotismo” è stato rievocato, direi appropriatamente, con l’esecuzione della Tarantella op. 43.
Dopo di che la salute del musicista cominciò a peggiorare e ci fu il ritorno in Francia, a Marsiglia; a quei tempi la Sand chiamava
Chopin con un vezzeggiativo da cagnolino: “Chip-Chip”.
Dopo ancora ci fu il ritorno a Nohant, quindi a Parigi, dove la donna letteralmente manteneva il musicista, avendo affittato per lui ben
due alloggi.
Gli anni Quaranta sono il periodo più felice e produttivo nella (breve) vita di Chopin, e sono quelli coincidenti con il suo idillio con
la scrittrice.
Egli era corteggiatissimo come didatta e come virtuoso, e conteso dai principali editori di musica europei.
Assistere alle sue soirées era considerato un autentico privilegio, a cui la più eletta aristocrazia (come i ricchissimi ebrei Rothschild) difficilmente
rinunciava.
D’altro canto, ogni dama poteva ammirare e sospirare per quel prodigio della tastiera eppur uomo delicatissimo: le mani
forti e i bei lineamenti tutto sommato virili,
la carnagione chiara e le dita lunghissime, i lunghi capelli bruni ondulati, il naso pronunciato e lo sguardo profondo e a volte spiritato, il portamento fine e
decisamente nobile.
Può darsi che questo cagionasse una qualche gelosia nella Sand, ma di ciò non sembra esservi gran traccia nelle sue lettere, le quali, invece, spesso indugiano nella descrizione degli stati di prostrazione, fisica e mentale, in cui il pianista cadeva.
Del resto l’uomo era essenzialmente la propria arte, e la sua natura biologica si fondeva interamente con le ragioni musicali e
specificamente con quelle pianistiche.
Già furoreggiavano i suoi tanti pezzi per tastiera, a volte salottieri e anche descrittivi, eppure incredibilmente belli e nuovi per il tempo, che poi sarebbero rimasti
per sempre nel repertorio pianistico mondiale:
i Valzer citati, i Notturni e le Polacche, la Ballata op. 38, gli Scherzi, ed ancora soprattutto i Preludi n. 20 e 21, le Mazurche.
Tutti pezzi di cui le pianiste hanno dato ampi saggi, talvolta intervallandoli con dei “medley” di altra provenienza e altro tempo –
“Interplay” di Bill Evans, “Some day my prince will come”, “Libertango” di Astor Piazzolla -, e altre volte trattandoli con libere improvvisazioni jazz,
comunque convincenti e ben eseguite.
Nel ‘42 la coppia si trasferisce in un lussuoso alloggio a Place d’Orléans, dove Chopin sarebbe rimasto fino al termine dell’esistenza.
La Sand annotava preoccupata le condizioni del “mio caro bambino, molto fragile e cambiato dall’ultima volta”.
Ma, ecco qui uno dei grandi interrogativi posti dalla voce recitante all’attenzione del pubblico:
si può davvero essere innamorati del proprio uomo, quando egli è sentito come un “bambino”?
La musica continua ed è avvolgente: il tempestoso Studio op. 10 n. 12, il malinconicissimo Preludio 4 in mi minore, e poi il Gran Valzer
brillante op. 34 n.2, eseguito quest’ultimo a due pianoforti (inframezzato al citato Piazzolla):
brani stupendi, armonicamente, ritmicamente e melodicamente, che non hanno tempo e che incantano e incanteranno senza fine.
Non così l’amore, che invece, ahi noi, tende a finire. Infatti finì pure quello tra Chopin e la Sand.
Nel ’46 una brutta lite incrinò il loro lungo rapporto; ne furono causa i figli della Sand ed in particolare le vicende sentimentali di Solange:
la ragazza doveva sposare un ricco aristocratico, appoggiata da Chopin, ma invece ruppe il fidanzamento anche perché spinta dalla madre, e finì per maritarsi
con uno scultore da cui probabilmente aspettava un figlio.
Chopin fu tenuto fino all’ultimo all’oscuro del matrimonio, che avvenne nel 1847.
Il sommo artista, in effetti, come uomo non era tenuto in alcuna considerazione presso quella famiglia.
“Sono io George Sand” si conclude, accolto da molti applausi.
“Sono io George Sand” è riuscito, in definitiva, in un felice mix di musica e testo, con una predominanza della prima sul secondo, se non altro in termini
quantitativi:
più “numeri musicali” di quanti non siano gli interventi verbali.
Ma in verità la combinazione è ben calibrata e spesso note e parole si soprappongono e si fondono piacevolmente, creando
quasi effetti di partitura operistica.
D’altra parte il ritmo non è affatto statico, ma anzi reso dinamico e vario dai movimenti in scena delle tre protagoniste, che si scambiano di posto, si alzano, si siedono,
gesticolano, fumano.
Quanto all’esecuzione di Chopin, oggi lo show business impone all’attenzione mondiale virtuose impareggiabili provenienti dall’Estremo Oriente o dai Paesi dell’Est.
Ma noi spezziamo volentieri la lancia per queste due valide pianiste formatesi nella nostra scuola napoletana, e volentieri ci sottraiamo al compito di
dire chi ci abbia impressionato di più: entrambe brave, ma diverse.
E brava ed espressiva è stata anche la Pavone, dotata peraltro di bella voce sonora e di dizione molto chiara.